I dipendenti vogliono cambiare lavoro: come trattenerli?

Secondo l’indagine “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, condotta dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, in collaborazione con SWG, il 55% dei dipendenti è insoddisfatto della propria occupazione, e il 15% è già passato ai fatti, avviando la ricerca di un nuovo lavoro. L’esperienza del Covid e l’introduzione del lavoro agile hanno portato a una diffusa insoddisfazione per la propria occupazione.  Come è noto, non si tratta di un fenomeno puramente italiano. Negli USA di Great Resignation si parla già dalla primavera 2021, ma non tutti gli aspetti dell’ondata di dimissioni sono comuni a livello internazionale.

Insoddisfazione e voglia di novità

Nel 38,7% dei casi a spingere verso una nuova occupazione è l’insoddisfazione, nel 35,4% la voglia di novità, poi la paura di perdere il lavoro (11,8%) e la scadenza del contratto (9,8%). Ma quali sono i fattori che generano insoddisfazione nei lavoratori? Nella maggior parte dei casi si tratta delle scarse opportunità di carriera (40,9%) e dei salari bassi (31,9%), ma per il 49% è necessario che il nuovo lavoro permetta un maggior equilibrio personale, maggior tempo da dedicare a sé stessi e minor carico di stress.
“Lo smart working è una modalità che ben concilia il lavoro con la vita privata, ma va ben strutturato perché diventi un’opportunità per il futuro”, commenta Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro.

Come ridurre il tasso di turn over?

Nel 2022 l’84,2% di chi lavora in agilità promuove a pieni voti questo modello, in virtù della conciliazione tra lavoro e vita privata. L’introduzione del lavoro agile potrebbe quindi essere un fattore importante per trattenere i talenti. Ma come sottolinea Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, un’azienda deve muoversi su più fronti per ridurre il tasso di turn over: “il datore di lavoro che mira a ridurre le dimissioni volontarie in azienda deve prima di tutto rendere più efficace il processo di selezione del personale, sapendo peraltro che spesso le dimissioni arrivano a pochi mesi dall’assunzione”. Spesso si è poi convinti che per trattenere i talenti l’unica arma efficace sia quella dell’aumento dello stipendio. Un modo di pensare in buona parte superato, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori più giovani.

Benefit vs aumento di stipendio

“Una larga fetta di giovani lavoratori mette davanti agli stipendi le possibilità di sviluppo di carriera e formazione: ecco quindi che l’azienda che desidera trattenere i propri dipendenti dovrebbe investire soprattutto in tal senso”, conferma Adami.
In molti casi, ancor più dell’aumento di stipendio, l’introduzione di benefit personalizzati rende più forte il legame tra dipendente e azienda. “Non va poi trascurato un aspetto più generale, relativo al modo in cui l’azienda decide di relazionarsi con i propri collaboratori – aggiunge l’head hunter -: un datore di lavoro che direttamente o attraverso i propri manager mostri di ascoltare i propri dipendenti e di avere fiducia nelle loro capacità e competenze, parte già avvantaggiato”.

Raggiunto l’accordo sul caricabatterie universale europeo

In base alle nuove regole, dal 2024 si potrà utilizzare un unico caricabatterie per tutti i dispositivi elettronici portatili di piccole e medie dimensioni. La direttiva approvata da Parlamento europeo e Consiglio Ue propone infatti un unico caricatore di forma Usb-C per telefoni cellulari, laptop, tablet, e-reader, cuffie in-ear, fotocamere digitali, cuffie e auricolari, console per videogiochi portatili e altoparlanti portatili ricaricabili tramite cavo cablato. Questi dispositivi dovranno quindi essere dotati di una porta Usb di tipo C, indipendentemente dal loro produttore. E l’ambiente ringrazia: ogni anno vengono spediti in Europa mezzo miliardo di caricabatteria per dispositivi portatili, che generano dalle 11 alle 13mila tonnellate di rifiuti elettronici l’anno. 

I consumatori risparmieranno 250 milioni di euro l’anno

La direttiva, punto di arrivo di un percorso lungo 10 anni, secondo le stime dell’Ue aiuterà i consumatori a risparmiare fino a 250 milioni di euro all’anno sugli acquisti inutili di caricabatterie. A oggi, infatti, i consumatori spendono circa 2,4 miliardi di euro l’anno per acquistare caricabatteria separati non compresi nell’acquisto dei dispositivi. Nel 2020 sono stati venduti negli Stati dell’Unione circa 420 milioni di cellulari e altri dispositivi elettronici portatili. I consumatori possiedono in media circa tre caricabatteria per telefoni cellulari, ma il 38% dichiara di aver incontrato difficoltà almeno una volta nel ricaricare il proprio telefono perché i caricabatteria disponibili erano incompatibili. 

Il caso Apple

I tentativi di imporre un caricabatterie universale in tutto il territorio europeo risalgono al 2009, quando Apple, Samsung, Huawei e Nokia firmarono un accordo volontario per utilizzare uno standard comune. Ma questo approccio volontario non ha raggiunto gli obiettivi di sostenibilità ambientale e risparmio stabiliti inizialmente. Di fatto, l’USB-C è già uno standard condiviso nel panorama dei dispositivi mobili: tutti i principali produttori di smartphone hanno adottato la porta di nuova generazione da qualche anno. Apple è l’unica ad adottare un sistema diverso.
“Dal 2024 se Apple vorrà vendere i suoi dispositivi in Ue dovrà adottare il caricabatterie Usb-C – commenta il relatore del provvedimento al Parlamento europeo, Agius Saliba -. Su questo siamo stati molto chiari anche con loro, siamo stati a Cupertino e gliel’abbiamo detto”.

Interoperabilità delle tecnologie di ricarica wireless

La direttiva sul caricabatterie unico è solo il primo passo, e ha un orizzonte più ampio. Il legislatore europeo punta a ottenere “l’interoperabilità delle tecnologie di ricarica wireless entro il 2026 – chiarisce il relatore Alex Agius Saliba -. Stiamo anche ampliando la portata della proposta aggiungendo altri prodotti, come i computer portatili, che dovranno essere conformi alle nuove regole”. 
La ragione per cui si punta alla interoperabilità delle tecnologie di ricarica wireless è evidente, riporta Agi: sono il futuro. Le aziende tecnologiche si stanno infatti già muovendo verso un sistema universale di ricarica dei dispositivi elettronici: lo standard Qi.
Arrivare a questa data con una strategia comune, che vuol dire standard comuni, è uno degli obiettivi dei deputati alla Commissione.

Valori e stili alimentari: cosa è cambiato dopo il Covid?

Quali sono le trasformazioni che hanno caratterizzato gli stili alimentari e gli stili di vita degli italiani negli ultimi due anni? Come è cambiato l’abbraccio alla tavola nel post pandemia? Cosa desiderano i nostri connazionali nel loro menù ideale? A questa e ad altre domande ha risposto Osservatorio CIRFOOD DISTRICT condotto da Nomisma. Dai dati dell’indagine emerge che l’impatto della pandemia sulla vita delle persone ha determinato una vera e propria rivoluzione valoriale. I mutamenti intercorsi durante gli anni del Covid hanno infatti indotto gli italiani a sposare nuovi valori, che finiscono per determinare e guidare le loro scelte. Secondo i dati del Rapporto Coop 2021, sono 36 milioni le persone che hanno intenzione di modificare il proprio sistema valoriale nei prossimi 3 o 5 anni ed emerge, in particolare, il bisogno di dare maggiore spazio alla cura di sé: il 47% degli italiani vuole occuparsi di più della propria salute e il 42% trovare maggiore serenità ed equilibrio con se stesso.  In questo quadro emerge anche la volontà di tutelare l’ambiente, un altro valore che si sta affermando: il 40%, infatti, desidera impegnarsi maggiormente in tal senso. 

I nuovi valori legati al cibo

In questo panorama gli italiani rivolgono massima attenzione al tema del cibo. L’Osservatorio rileva non solo che l’83% dei lavoratori è molto attento alle proprie scelte alimentari, ma evidenzia anche ciò che la nutrizione rappresenta per le persone. Solo una percentuale minoritaria (12%) la associa a una mera necessità vitale: per molti italiani, al contrario, l’alimentazione rappresenta felicità e soddisfazione (32%), un momento di convivialità (29%), un modo per prendersi cura di sé e per fare prevenzione (27%).

Obiettivo salute 

La ricerca di aspetti come la cura del sé, la convivialità, la gratificazione verso il cibo ha portato gli italiani a cambiare i propri comportamenti alimentari, determinando l’instaurarsi di nuove abitudini a tavola.  Quella che si evidenzia maggiormente è l’intenzione di mangiare in modo sano ed equilibrato (42%), a cui si affianca una percentuale consistente di persone (26%) che cerca di ridurre il consumo di carne (Fonte: Rapporto Coop 2021). “Diminuire il consumo di carne significa anche imprimere una volontà attiva nella preservazione dell’ambiente, perché rappresenta una modalità concreta per ridurre l’impatto climatico”, commenta Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence di Nomisma.
In termini di stili alimentari, quasi il 30% degli italiani predilige la dieta mediterranea. Accanto a questo gruppo emerge una serie di altri stili molto variegati, in cui si identifica il 53% delle persone. Si tratta di comportamenti alimentari difficili da classificare in modo unitario perché esprimono tante esigenze differenti presenti oggi sul mercato. In questa percentuale rientrano, ad esempio, gli italiani che ricercano in modo continuativo cibo biologico, coloro che prediligono prodotti stagionali, chi segue un’alimentazione vegetariana o vegana, ma anche chi preferisce una nutrizione iperproteica (Fonte: Rapporto Coop 2021).  

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Wi-Fi: nel 2024 da standard per la comunicazione diventerà sensing

Il futuro del Wi-Fi è sensing. Con lo standard IEEE 802.11bf in arrivo nel 2024 il Wi-Fi non sarà più uno standard per la comunicazione. Il nuovo protocollo che farebbe fare un salto alle applicazioni smart home, l’assistenza alla persona, la sicurezza degli edifici, e l’ospitalità si chiama appunto Wi-Fi sensing. E potrebbe consentire alle reti di diventare più interattive, applicare nuovi livelli di automazione e portare alla luce nuovi servizi per gli utenti in ambiti quali informazioni sulla salute, privacy e relax.  Almeno, stando alle ultime indicazioni della Wireless Broadband Alliance, associazione di imprese nata nel 2003 per promuovere l’interoperabilità tra operatori del settore, che l’ha messo al centro delle sue ultime linee guida. Tra le imprese che fanno parte dell’associazione, AT&T, Orange, LG, Intel ed Ericsson, Airties, Boingo Wireless, Broadcom, BT, Cisco Systems, Comcast, Deutsche Telekom AG, Google, Intel e Viasat.

Una rivoluzione per le persone in tutto il mondo

“Il Wi-Fi sensing – così si legge nel paper Wi-Fi Sensing — Deployment Guidelines della Wireless Broadband Alliance – è una tecnologia nuova e in rapido sviluppo che mira a rivoluzionare il modo in cui le persone utilizzano le reti Wi-Fi in tutto il mondo”.
Secondo Tiago Rodrigues, ceo di Wireless Broadband Alliance, “Il Wi-Fi sensing pone le basi a fornitori di servizi Wi-Fi per espandersi in una varietà di nuovi entusiasmanti mercati, tra cui l’assistenza sanitaria, la sicurezza domestica, l’automazione degli edifici e altro ancora”.

Verso un nuovo paradigma sensoriale

Lo standard Wi-Fi 802.11bf, su cui poggerà questo sviluppo del Wi-Fi, è stato implementato dall’IEEE 802.11bf Task Group di Francesco Restuccia, ingegnere informatico e ricercatore presso la Northeastern University di Boston. In un articolo scientifico lo studioso ha descritto così le caratteristiche della nuova tecnologia di connessione wireless: “Quando lo standard 802.11bf sarà pronto e presentato dall’IEEE a settembre 2024, il Wi-Fi smetterà di essere solo uno standard di comunicazione per diventare un nuovo paradigma sensoriale”.

L’Intelligenza Artificiale ridefinisce il concetto di smart home

Il Wi-Fi sensing, riferisce Agi, sfrutta i segnali Wi-Fi esistenti per rilevare il movimento, tra cui i gesti e i parametri biometrici, cambiando il modo in cui le persone utilizzano le reti Wi-Fi e creando nuovi modelli di business e fonti di ricavo per le imprese. Uno dei passaggi più interessanti del documento fa riferimento all’Intelligenza Artificiale. Questa tecnologia, secondo la visione della Wireless Broadband Alliance, consentirebbe alle reti Wi-Fi di diventare una fonte di intelligenza artificiale per soluzioni preventive, e basate sull’analisi dei dati che potrebbero ridefinire il nostro concetto di smart home.

Rc Auto: 1 italiano su 3 la acquista dallo smartphone

Una spesa che tutti gli automobilisti devono mettere a budget almeno una volta all’anno: quella per la polizza Rc Auto. Ma come viene acquistata dagli italiani l’assicurazione per l’automobile? Secondo l’analisi di Facile.it, realizzata su un campione di oltre 279.000 polizze Rc Auto sottoscritte online, emerge innanzitutto come rispetto al periodo pre-pandemia la percentuale di queste sia aumentata. Nel Q1 2019 era pari a ‘solo’ il 24,8%. Inoltre, fra chi la acquista online, più di 1 italiano su 3 lo fa direttamente dal proprio smartphone.
“La pandemia e le restrizioni imposte hanno spinto gli italiani a digitalizzare molti processi – spiega Andrea Ghizzoni, Managing Director Insurance di Facile.it -. Inevitabilmente anche il mondo delle assicurazioni è stato influenzato da queste dinamiche e l’acquisto da smartphone, device che può essere utilizzato in ogni momento e luogo, è ormai una realtà anche per il settore assicurativo”.

Il fenomeno a livello regionale

Dal punto di vista anagrafico, sono soprattutto gli individui con età compresa tra 25 e 44 anni a utilizzare maggiormente il cellulare per rinnovare o sottoscrivere la copertura per la propria vettura (38,8%). Nonostante i 65-74enni siano i meno propensi, quasi 3 italiani su 10 (28,5%) appartenenti a questa fascia d’età si affidano comunque al mobile per l’acquisto. Se a livello nazionale chi usa il cellulare per comprare l’Rc Auto rappresenta il 34,2% del campione, la percentuale sale fino al 37,1% in Friuli-Venezia Giulia, in cima alla classifica delle regioni più propense alla sottoscrizione di una assicurazione attraverso lo smartphone. Seguono sul podio Sardegna (36,5%) ed Emilia-Romagna (36,2%).

Quanto costa assicurare un veicolo a quattro ruote?

Secondo i dati dell’Osservatorio Rc Auto di Facile.it, ad aprile 2022 occorrevano, in media, 443,07 euro, valore in linea con quanto speso a marzo, ma ancora inferiore rispetto a 12 mesi fa (-2,07%).
Quanto alle scelte degli automobilisti in materia di garanzie accessorie emerge come tra coloro che ne hanno inserita una in fase di preventivo, la più richiesta sia l’assistenza stradale (40%).
Il dato può essere letto anche in virtù di un parco auto che continua a invecchiare. Lo scorso mese l’età media dei veicoli italiani era pari a poco più di 11 anni e mezzo, valore in aumento rispetto a quello rilevato nello stesso periodo del 2021 (10 anni e 9 mesi).

Non solo auto

Tra le garanzie accessorie più richieste, sia pure a grande distanza, seguono la copertura infortuni conducente (19%), la tutela legale (18,4%) e la garanzia furto e incendio (11%). L’analisi di Facile.it non ha preso in considerazione solo la Responsabilità Civile per l’auto, ma anche quella per la moto. E anche in questo caso, dallo studio realizzato su oltre 23.800 polizze Rc Moto acquistate online, emerge che nel primo trimestre del 2022 un italiano su 3 (33,9%) ha acquistato la polizza per le due ruote direttamente dal proprio cellulare. Valore in aumento di 12 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2019.

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Quasi 4,5 milioni di richieste per l’assegno unico e universale

E’ destinato a tutte le famiglie con figli l’assegno unico e universale attivato dall’Inps. Gli italiani hanno reagito positivamente a questa nuova iniziativa: lo conferma il numero di richieste già arrivate all’Istituto Previdenziale. Da inizio anno ad oggi, sono 7.259.181 i figli per cui è stato richiesto l’assegno unico e universale attraverso 4.497.281 domande già pervenute. Fino al 30 giugno sarà possibile inoltrare la domanda con il riconoscimento di tutti gli arretrati, calcolati a partire dal mese di marzo 2022. Praticamente la quasi totalità delle domande è stata elaborata in modo automatizzato. Quelle in esame alle sedi per verifiche non automatizzabili sono solo lo 0,5%, riferisce Adnkronos. Nessuna documentazione è stata chiesta ai cittadini e tutte le informazioni necessarie alla istruttoria sono state reperite da archivi Inps o di altri enti collegati in interoperabilità con Inps (Anpr, Agenzia entrate, ministero dell’Interno, Miur etc). 

La domanda si può presentare anche online

La procedura per richiedere l’assegno è semplice. La domanda può essere presentata sul sito web Inps, oppure tramite patronato o contact center. Per le domande presentate entro il 30 giugno 2022 saranno pagati gli assegni, se spettanti, a partire da marzo. Non è necessario avere un Isee al momento della domanda, in assenza di tale indicatore, o in presenza di un Isee superiore ai 40mila euro, l’assegno è corrisposto comunque, ma calcolato all’importo minimo previsto dalla norma. I percettori di rdc non devono presentare domanda, ma sarà loro riconosciuto d’ufficio l’assegno da Inps. I dati richiesti sono pochi (nella maggior parte dei casi solo il codice fiscale dei figli e dell’altro genitore, se presente, e le modalità di pagamen to scelte), selezionare pochi flag (che attestano il possesso di uno dei requisiti previsti dalla norma o permettono una scelta tra diverse soluzioni) e terminare la compilazione delle pagine on line e inviare la domanda in pochissimi minuti.

Serve lo Spid

L’utente accede alla procedura con Spid: troverà quindi precompilati nella prima pagina (dopo la home page che presenta i vari applicativi che permettono la domanda e la sua gestione) i suoi dati anagrafici. Deve quindi inserire i dati dei figli, un figlio alla volta. Le pagine da compilare sono al massimo 3, sono navigabili, e l’utente può sempre tornare in una precedente per modificare i dati già inseriti. Nella prima pagina vanno inseriti il codice fiscale del figlio e dell’altro genitore, va indicato se il figlio è disabile e selezionate alcune opzioni riguardanti il nucleo familiare. Vanno poi scelte le modalità di ripartizione dell’assegno (100% al richiedente, o ripartito al 50% tra i genitori), e flaggate le dichiarazioni circa il possesso dei requisiti per il diritto alle maggiorazioni previste dalla norma.

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Gli italiani spendono 303 euro l’anno per Internet e voce

Quanto costa oggi avere una linea fissa domestica? Secondo Facile.it la spesa media per chi oggi opta per una linea voce con connessione Internet ADSL o Fibra è pari a poco più di 303 euro l’anno. E se invece si intende rinunciare a Internet e si sceglie la sola linea voce con chiamate illimitate? In questo caso, il prezzo è pari a 232 euro l’anno. Ma è possibile anche scegliere un unico operatore per la linea fissa e il cellulare.
“Negli ultimi anni è cresciuta l’offerta di promozioni che associano alla linea di casa anche quella mobile – ha spiegato Mario Rasimelli, Managing Director Utilities di Facile.it -. Scegliendo un unico operatore per fisso e mobile è possibile in alcuni casi ridurre notevolmente l’importo della bolletta, e per la sola telefonia fissa, il costo può addirittura scendere al di sotto dei 200 euro l’anno”.

Sono più di 26,5 milioni gli italiani che hanno ancora il telefono fisso in casa

Molti lo considerano un oggetto di altri tempi, eppure secondo l’indagine commissionata da Facile.it agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, sono più di 26,5 milioni gli italiani che hanno ancora il telefono fisso in casa. Guardando all’uso che i nostri connazionali fanno del telefono fisso, l’indagine ha scoperto che oggi la sua funzione è almeno parzialmente, cambiata, o addirittura invertita rispetto a quella del telefono cellulare.

Chi continua a tenere in casa il fisso lo fa per ragioni di sicurezza

“Chi continua a tenere in casa il fisso lo fa principalmente per ragioni di sicurezza in caso di emergenza (41%), o come mezzo di comunicazione riservato a pochi intimi (28%) – continua Rasimelli -. Insomma, un tempo i contatti stretti erano gli unici cui davamo il numero di cellulare, oggi sono i soli che possono raggiungerci anche quando il nostro smartphone è spento”.

Si elimina il fisso principalmente per ragioni economiche
Analizzando le risposte su base socio-demografica emerge che il telefono fisso è presente in misura maggiore nelle case degli over 65 (78%) mentre, a livello territoriale, i più affezionati sono risultati essere i residenti al Sud e nelle Isole (64%). Cosa invece ha determinato la scelta di quei 17 milioni che hanno rinunciato a filo e cornetta? Nel 59% dei casi hanno scelto di eliminare il fisso per ragioni economiche, nel 45% per sostituirlo col cellulare e nel 19% dei casi per non essere disturbati a casa dai call center.

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Mutui, l’età media dei richiedenti scende a 37 anni e mezzo

Oggi gli under 36 che richiedono un mutuo rappresentano una quota fondamentale del mercato immobiliare. Nei primi 3 mesi dell’anno il 51% del totale delle domande di finanziamento è stata presentata infatti da un under 36, un valore in netto aumento rispetto allo stesso periodo del 2021, quando questa fascia rappresentava il 32% della richiesta totale. Ma nel primo trimestre 2022 l’età media degli aspiranti mutuatari è scesa a 37 anni e mezzo, mentre appena 12 mesi fa chi presentava domanda di finanziamento aveva in media 41 anni. Secondo l’analisi di Facile.it e Mutui.it, nel sostenere la domanda di mutui da parte dei giovani, è stato fondamentale il Fondo di Garanzia Prima Casa.

Due under 36 su tre hanno approfittato del Fondo Prima Casa

Dall’analisi di Facile.it, nel primo trimestre due richiedenti under 36 su tre hanno chiesto un finanziamento cercando di approfittare della garanzia statale. Data la nuova situazione, oggi vengono ridefiniti anche i principali valori economici legati al mercato dei mutui.
In media, nel primo trimestre 2022, chi si è rivolto a un istituto di credito ha cercato di ottenere 141.021 euro (+3% su base annua), mentre il valore degli immobili oggetto di mutuo è calato a 194.248 euro (-8%). L’LTV (rapporto tra valore del mutuo e valore dell’immobile) è salito al 78% (era il 70% dodici mesi fa), e i piani di ammortamento si sono allungati da 23 a 25 anni.

Sale a 26 anni la durata del finanziamento

Secondo l’analisi di Facile.it, nel primo trimestre dell’anno il 77% delle domande di finanziamento raccolte online era per l’acquisto della prima casa, +17% rispetto al 2021. In media, chi si è rivolto a un istituto di credito per comprare l’abitazione principale aveva poco più di 35 anni.
Nei primi tre mesi del 2022 l’importo medio richiesto per l’acquisto dell’abitazione principale è pari a 146.319 euro (in linea con lo scorso anno) da restituire in 26 anni (erano 25 anni nel 2021). Il valore medio dell’immobile oggetto di mutuo è sceso a 187.250 euro (-8%), mentre l’LTV ha raggiunto l’83% (era il 76%).

Aumentano i tassi di interesse

Analizzando l’offerta bancaria emerge che questa prima parte dell’anno, anche a causa del complesso scenario internazionale, è stata caratterizzata da un aumento generalizzato dei tassi di interesse, in particolare, di quello fisso. Secondo le simulazioni di Facile.it per un mutuo da 126.000 e LTV al 70% da restituire in 25 anni, i Taeg fissi disponibili oggi online partono dal’1,71%, con una rata mensile di 507 euro: 41 euro in più al mese rispetto allo scorso anno. Con queste condizioni, chi chiede oggi un mutuo a tasso fisso paga, per tutta la durata del finanziamento, circa 12.300 euro in più di interessi rispetto a un anno fa. Più stabile la situazione per i tassi variabili, con indici che partono dallo 0,82% e una rata di 461 euro.

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Aziende italiane, ancora troppe PMI non utilizzano sistemi di backup

Sono ancora tantissime le imprese italiane che non si sono dotate di sistemi di backup per tenere al sicuro i propri dati, proteggendoli anche dai rischi del cybercrime. Addirittura sarebbe un’azienda su quattro a non avere nessun sistema, sebbene 7 aziende su 10 siano siano vittime di una perdita di dati. Tra l’altro, quel 27% di piccole e medie imprese che non si è ancora dotato di sistemi per la conservazione e la salvaguardia dei dati sale al 43% tra le sole piccole imprese. Numeri importanti, contenuti nell’indagine BVA Doxa per Aruba S.p.A., il principale cloud provider italiano nei servizi di data center, web hosting, e-mail, PEC e registrazione domini, sul tema della conservazione e della sicurezza dei dati nelle PMI italiane, in occasione del World Backup Day. 

Solo il 73%ha una soluzione di backup

Solo il 73% delle aziende intervistate ha dichiarato di disporre di una soluzione di backup, dato che scende al 57% quando si parla di piccole imprese e che sale ad un più incoraggiante 87% quando ci si interfaccia con le medie imprese. Tra quanti utilizzano soluzioni di backup in azienda, il 62% dei rispondenti ne dispone da oltre 5 anni ma è solo il 3% ad essersene dotato nel corso del 2021, sintomo che l’accelerazione della digital transformation registrata nel corso degli ultimi due anni non ha determinato un aumento in parallelo della attenzione alla conservazione dei dati e alla propria sicurezza digitale.
In dettaglio, è il 57% delle aziende intervistate a disporre di un backup in cloud, ossia la soluzione grazie alla quale i file vengono criptati e sincronizzati in tempo reale sui server del data center che ospita il servizio, rendendo il backup pienamente sicuro. Riguardo al cloud backup, le piccole imprese risultano a sorpresa più virtuose: è il 60% ad esserne dotato a fronte del 54% delle medie imprese.

Una perdita che costa

L’assenza di sistemi di conservazione appare ancora più incomprensibile scoprendo che 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati e per il 34% di queste la causa scatenante è riconducibile proprio ad un sistema di backup inefficace o non adeguato. In media, le aziende coinvolte da una perdita di dati hanno subito un downtime di quasi 2 giorni ed il 43% di queste non saprebbe quantificare economicamente i danni causati dall’incidente. La metà degli intervistati, invece, dichiara in modo netto che la perdita di dati ha causato un rallentamento sul lavoro (52%) e delle conseguenze economiche seppur non facilmente quantificabili (43%).
Interessante, infine, notare come i manager intervistati non mostrino una ferma attitudine alla sicurezza digitale neanche nella propria sfera privata: solo il 58% di questi riferisce di disporre privatamente di una soluzione di backup e nel 27% dei casi si tratta di una soluzione di backup su supporto fisico come un hardware esterno o una chiavetta USB. La motivazione principale di chi non ne fa uso? Per 9 italiani su 10 non rappresenta una necessità.

Il futuro del lavoro? Per i dipendenti IT è meglio la libertà che una promozione 

Quale sarà il futuro del lavoro? Risponde a questo quesito il sondaggio annuale Everywhere Workplace che ha coinvolto esperti globali su questo tema, intervistando oltre 6.100 impiegati e professionisti IT per rilevare le valutazioni dei dipendenti sui mesi passati, sul presente e sul domani. La ricerca è presentata da  Ivanti, fornitore della piattaforma di automazione Neurons che rileva, gestisce, protegge e supporta gli asset IT dal cloud all’edge. In particolare il report mette in luce come le priorità dei dipendenti stiano continuando a cambiare con il 71% degli intervistati che preferirebbe lavorare da qualsiasi luogo piuttosto che ricevere una promozione. Nonostante la crescente diffusione del lavoro da remoto, il 10% degli intervistati riscontra un effetto negativo sulla propria condizione di salute.

Più difficoltà per le donne che per gli uomini

Il 70% delle donne che lavorano nell’IT hanno segnalato di aver riscontrato effetti negativi, a livello psicologico, legati al lavoro da remoto, contro il 30% degli uomini, appartenenti allo stesso settore. In aggiunta, molti dipendenti avvertono la perdita di contatto interpersonale con i propri colleghi (9%), aggiungendo di lavorare più ore rispetto a quando erano in ufficio (6%). Il report ha anche mostrato un ulteriore divario di genere: il 56% delle donne intervistate ha affermato come il lavoro da remoto abbia influenzato negativamente la loro salute mentale, rispetto al 44% degli uomini. Mentre il 52% delle donne riferisce di aver perso il contatto interpersonale con i colleghi, rispetto al 47% degli uomini.

I possibili modelli di lavoro 

Guardando ai potenziali modelli di lavoro futuri, la ricerca evidenzia che il 42% dei dipendenti preferisce modalità di lavoro ibride (+5% dall’ultimo studio). Il 30% dei medesimi opta invece per lavorare da casa in modo permanente (-20% dall’ultimo studio), dimostrando la volontà di interagire nuovamente con i propri colleghi. Nonostante i diversi benefici legati al lavoro da remoto, tra i quali il risparmio di tempo negli spostamenti (48%), un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (43%) e un orario di lavoro più flessibile (43%), si sono verificati alcuni svantaggi. Infatti, il 49% degli intervistati afferma di essere stato influenzato negativamente dal lavoro a distanza a causa di una scarsa interazione con i colleghi (51%), della mancanza di collaborazione e comunicazione (28%), del rischio di rumore di fondo e di alcune distrazioni (27%). “La pandemia ha introdotto un cambiamento enorme nelle modalità e nei luoghi di lavoro” ha commentato Jeff Abbott, CEO di Ivanti. “L’elemento vantaggioso è certamente nella progressiva implementazione dell’automazione per attività e compiti quotidiani. In questo modo le aziende possono ottimizzare l’equilibrio tra vita-lavoro dei propri team IT e di sicurezza, prevenendo le violazioni dei dati e migliorando le esperienze dei dipendenti”.

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