Siamo immersi nei contenuti digitali: come li viviamo veramente?

Siamo tutti  consapevoli che, oggi, la nostra vita si svolge in gran parte nel mondo digitale. Ogni individuo è immerso in un flusso incessante di contenuti digitali, che spaziano dall’intrattenimento all’informazione.

Questa costante interazione è alimentata dal crescente utilizzo di dispositivi connessi, che vanno dagli telefonini alle smart TV, dai computer portatili alle console per videogiochi, creando un tessuto digitale sempre più fitto e articolato.

Un contesto da conoscere per definire strategie di marketing

In questo scenario in continua evoluzione, è cruciale comprendere le abitudini e le preferenze dei consumatori al fine di orientare efficacemente le strategie pubblicitarie. È quanto emerso durante la seconda edizione di IAB Showcase, un evento che ha visto la partecipazione di oltre 1000 brand e centri media, promosso da BVA Doxa. Antonio Filoni, Head of BU Digital & Social Media di BVA Doxa, ha presentato i risultati di una ricerca condotta in collaborazione con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.

La ricerca ha analizzato le tendenze di fruizione e spesa dei consumatori italiani nel mercato dei contenuti digitali, offrendo anche uno sguardo sulle prime valutazioni riguardo ai contenuti generati dall’Intelligenza Artificiale.

Le preferenze dei consumatori

Tra le principali evidenze, spicca l’importanza dei social media come fonte primaria di contenuti digitali, seguiti dalle informazioni e dalle notizie. Nella scelta dei contenuti, le anteprime e gli eventi risultano essere i fattori più influenti, insieme ai giudizi personali del proprio network.

Sale la spesa per contenuti digitali

Un dato significativo riguarda la crescita costante della spesa dei consumatori per i contenuti digitali, con il 77% degli intervistati che dichiara di fruire almeno di un contenuto a pagamento. Tuttavia, emerge anche una certa ambivalenza nei confronti della pubblicità, considerata sia un elemento di distrazione sia un indicatore di qualità per i contenuti a pagamento.

Contenuti “artificiali” e percepito da parte degli utenti

Un altro aspetto interessante riguarda l’utilizzo dei contenuti prodotti con Intelligenza Artificiale: se solo il 18% dei consumatori ha già usufruito di tali contenuti, questo dato sale al 30% nella GenZ. Tuttavia, vi è una varietà di opinioni riguardo all’utilizzo di tali tecnologie, con preoccupazioni legate alla trasparenza e all’etica, soprattutto per quanto riguarda la diffusione di fake news e deep fake.

In conclusione, la comprensione delle dinamiche di consumo e delle preferenze degli utenti è fondamentale per adattare le strategie di marketing e pubblicità nel sempre più complesso e competitivo panorama dei contenuti digitali.

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Caro affitti, chi paga di più in Europa? Gli italiani 

L’impatto del prezzo degli affitti è davvero pesante sulle tasche degli italiani. Un recente studio condotto dalla banca online N26 svela che i nostri connazionali destinano il 52% del loro stipendio per l’affitto, collocando l’Italia all’ultimo posto in Europa. Questa situazione, ovviamente, si fa sentire sugli stipendi mensili degli italiani, già tra i più bassi del Vecchio Continente.

Classifica di vivibilità: affitti e qualità della vita

L’Indice di Vivibilità di N26 si propone di identificare i Paesi europei che offrono una migliore qualità della vita, prendendo in considerazione le spese relative agli affitti e all’energia, la densità di popolazione e il senso generale di felicità espresso dai residenti. Tra i costi analizzati, quelli legati agli affitti giocano un ruolo chiave, soprattutto in relazione agli stipendi medi.

L’Italia fanalino di coda: troppe spese 

L’Italia si posiziona all’ultimo posto della classifica con oltre il 52% del salario destinato all’affitto. Si tratta di una fetta davvero considerevole dello stipendio. Basta considerare la media nazionale del costo degli affitti per un bilocale, che si attesta attorno ai 1.400 euro al mese.

Le città dove si spende di più? Firenze e Milano

Un’analisi più dettagliata delle città italiane rivela che Firenze risulta essere la più costosa, con una media di 1.806 euro richiesti per un affitto mensile. Nel centro storico, il canone raggiunge i 2.200 euro al mese. Milano segue con una media di 1.674 euro, ma supera tutte le città per quanto riguarda le richieste in pieno centro: il canone medio sotto la Madonnina è di circa 2.838 euro al mese. Roma si posiziona terza, con una media di 1.200 euro per un bilocale.

E nel resto d’Europa? Va meglio in Belgio, Svizzera e Danimarca

A precedere l’Italia nel ranking europeo troviamo la Spagna, i Paesi Bassi e il Regno Unito. Al primo posto c’è il Belgio, con un affitto mensile di circa 800 euro per un bilocale, corrispondente al 18% dello stipendio. Svizzera e Danimarca occupano rispettivamente il secondo e il terzo posto con il 21% del salario destinato agli affitti.

I parametri considerati per l’Indice di Vivibilità

L’Indice di Vivibilità di N26 si basa su 12 paesi europei selezionati per appeal per la ricollocazione, popolazione e stabilità economica. I parametri considerati includono spese medie per l’energia, aumenti salariali medi, densità di popolazione e livelli di felicità, con l’obiettivo di evidenziare i paesi più favorevoli dove trasferirsi.

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Bonus ristrutturazione, a quanto ammonta ora e nel 2024?

Il bonus ristrutturazione rappresenta un vantaggio fiscale per coloro che intendono effettuare lavori di ristrutturazione nelle proprie abitazioni, consentendo loro di detrarre il 50% delle spese sostenute, fino a un limite massimo di 96.000 euro. Questa agevolazione è applicabile sia ai lavori eseguiti nel corso del 2023 che a quelli previsti a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo. È importante comprendere i costi ammissibili e gli adempimenti necessari per beneficiare di questo beneficio fiscale. Il bonus ristrutturazione, valido fino al 31 dicembre 2024, offre un anno aggiuntivo per sfruttare questa agevolazione. Dopo tale data, a meno di ulteriori cambiamenti normativi, la percentuale di detrazione diminuirà al 36%, con un limite di spesa ammissibile ridotto a 48.000 euro. Chiunque stia pianificando lavori di riqualificazione nella propria casa deve programmarli con attenzione e tenere presente le spese detraibili, così come rispettare le regole e gli adempimenti necessari.

Cosa succederà dal 2025?

Il bonus ristrutturazione del 50% sarà valido per l’intero 2023 e il 2024, ma dal 1° gennaio 2025 tornerà alla misura ordinaria del 36% di sconto sull’IRPEF, con un limite di 48.000 euro per unità immobiliare. Questi valori rappresentano le condizioni standard del beneficio fiscale stabilito dall’articolo 16-bis del TUIR, con incrementi applicati a partire dal 2012 e fino alla fine dell’anno successivo, come previsto dalla Legge di Bilancio 2022.

Quali sono le spese detraibili?

Le spese che rientrano nel bonus ristrutturazione sono diverse e includono lavori su abitazioni singole e condominiali. Per abitazioni singole, il bonus è applicabile a interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, nonché a opere di ristrutturazione edilizia. La manutenzione straordinaria comprende, ad esempio, spese per l’installazione o l’aggiornamento di servizi igienici e la sostituzione di infissi o serramenti, mentre il restauro e il risanamento conservativo coinvolgono interventi come l’adeguamento dei solai o l’apertura di finestre. La ristrutturazione edilizia comprende lavori più complessi come la demolizione e la ricostruzione, nel rispetto delle volumetrie esistenti. Inoltre, il bonus copre anche lavori per l’eliminazione delle barriere architettoniche e per la sicurezza (come porte blindate e grate alle finestre).
Per quanto riguarda i lavori condominiali, il bonus del 50% si applica alle spese per la manutenzione ordinaria, come la sostituzione di pavimenti e la tinteggiatura delle parti comuni.

Chi può beneficiarne?

Possono beneficiare del bonus ristrutturazione i contribuenti IRPEF, sia in caso di proprietà che di diritti reali sull’immobile in questione, compresi usufruttuari, titolari di diritto d’uso, abitazione o superficie, nonché locatari o comodatari dell’immobile. Anche soci di società e imprenditori individuali possono usufruire della detrazione fiscale. Inoltre, il diritto alla detrazione è esteso ai familiari conviventi del possessore o detentore dell’immobile, al coniuge separato assegnatario dello stesso e ai partner di unioni civili o conviventi, purché sostengano le spese di ristrutturazione e siano titolari di bonifici e fatture.

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Plastica, “è ora di agire”

La plastica è diventata una minaccia globale. Si trova infatti ovunque nel mondo: nel suolo, nell’acqua, nell’aria e persino nel cibo. Sebbene sia vero che la plastica abbia portato benefici all’umanità, è altrettanto vero che oggi il suo impatto sugli esseri viventi e sugli habitat è sempre più devastante, con danni quasi irreversibili per ogni specie di vita e la salute umana.
In occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, il WWF ha pubblicato il rapporto “Plastica: dalla natura alle persone. È ora di agire” e chiede al governo di andare oltre il riciclo dei soli imballaggi, estendendo la raccolta differenziata a tutti i prodotti in plastica di largo consumo, al fine di promuovere l’economia circolare come valore condiviso.

Serve una gestione più efficace ed efficiente

La gestione della plastica deve diventare più efficace e efficiente, coinvolgendo tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni alle aziende, fino alle persone e alle città in cui vivono. È necessario agire in tutte le fasi del ciclo di vita della plastica, dalla produzione al suo utilizzo e smaltimento. Il rapporto conferma che l’Italia è tra i peggiori Paesi inquinanti che si affacciano sul Mediterraneo, contribuendo all’inquinamento come secondo maggior produttore di rifiuti plastici in Europa. Secondo il WWF, non è più sostenibile limitarsi a un piano di riciclo limitato agli imballaggi, ma è necessario estendere la raccolta differenziata a tutti i prodotti in plastica di largo consumo, in modo che possano essere trasformati in nuovi oggetti, promuovendo l’economia circolare come valore condiviso.

Lo smaltimento è insufficiente

I danni causati dalla plastica sono numerosi e significativi in ogni fase del suo ciclo di vita, dalla produzione all’utilizzo e allo smaltimento. Nonostante una produzione in costante aumento, lo smaltimento della plastica è ancora altamente inefficiente, con tassi di riciclo globali inferiori al 10%. Di conseguenza, fino a 22 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono ogni anno negli ambienti marini e terrestri, principalmente plastica monouso. Inoltre, la produzione di plastica oggi contribuisce per circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra, e si prevede che questa percentuale possa aumentare fino al 4,5% entro il 2060 se l’attuale tendenza non verrà invertita.

Contaminazione globale

La contaminazione da plastica è diventata globale, diffusa e persistente in ogni ambiente naturale, come mari, fiumi, laghi, suolo e aria. L’inquinamento da plastica in Natura ha superato il “limite planetario”, oltre il quale non è più garantita la sicurezza degli ecosistemi per sostenere la vita. Per affrontare questa situazione, è necessario adottare un’approccio multilivello e coinvolgere tutti gli attori coinvolti nella filiera della plastica, dalla ricerca scientifica al settore pubblico e privato, dai progettisti agli utilizzatori e ai responsabili della gestione successiva all’uso. Le aziende hanno un ruolo chiave e devono seguire tre regole fondamentali: eliminare le plastiche difficilmente o non riciclabili e non indispensabili, innovare implementando modelli di business circolari per garantire che tutti gli oggetti in plastica possano essere riutilizzati, riciclati o compostati, e rendere circolari le plastiche aumentando la quantità di materiale riciclato nei nuovi prodotti in plastica, che devono essere facilmente riciclabili e accompagnati da chiare indicazioni per i consumatori su come smaltirli correttamente.

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Invecchiamento della popolazione, allarme sulle finanze dei Governi del mondo

L’invecchiamento della popolazione sta avendo un impatto significativo sulle finanze pubbliche a livello mondiale, secondo un avvertimento lanciato dal Financial Times basato sui dati delle agenzie di rating. L’aumento dei tassi di interesse, combinato con l’aumento delle pensioni e dei costi sanitari, sta mettendo a dura prova le finanze degli Stati, secondo Moody’s, S&P e Fitch.

Possibili cali di rating

La mancanza di riforme radicali potrebbe portare a una diminuzione dei rating sovrani a livello mondiale, creando un circolo vizioso in cui gli oneri fiscali aumentano e i costi dell’indebitamento salgono. La Federal Reserve degli Stati Uniti, la Banca Centrale Europea e la Banca d’Inghilterra hanno tutte aumentato i tassi di interesse questo mese ai livelli più alti dalla crisi finanziaria, facendo incrementare i costi del servizio del debito dei governi.

I dati demografici sono un fattore chiave già a breve termine

Secondo Moody’s Investors, i dati demografici sono un fattore di considerazione a breve-medio termine e stanno già influenzando i profili di credito sovrano. Fitch avverte che, sebbene i dati demografici si evolvano lentamente, il problema sta diventando sempre più urgente e più i governi rimandano l’azione, più dolorose saranno le conseguenze.

L’impatto dell’invecchiamento sulla popolazione attiva

Le agenzie di rating sostengono che l’aumento dei costi di indebitamento sta aggravando l’impatto dei cambiamenti nella popolazione in età lavorativa e dei crescenti costi delle spese sanitarie e pensionistiche. Questo ha un effetto sul debito nell’Unione Europea, dove la quota di popolazione sopra i 65 anni passerà dal 20% attuale al 30% entro il 2050, così come in Giappone e negli Stati Uniti. Uno stress test condotto da S&P indica che un aumento di un punto percentuale dei costi di indebitamento aumenterebbe di circa 40 punti il rapporto debito/PIL per Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti entro il 2060.

I profili demografici peggiori? In Europa Centrale e Meridionale 

Gli analisti evidenziano che i paesi dell’Europa centrale e meridionale presentano i profili demografici peggiori a livello mondiale. In particolare, la Germania sta affrontando un rapido invecchiamento della popolazione, la Spagna ha un deficit strutturale nel sistema pensionistico e la Francia sta affrontando sfide finanziarie nella gestione del problema. La Grecia è stata elogiata per le riforme radicali del suo sistema pensionistico dopo la crisi del debito. Al contrario, diverse economie asiatiche, come Corea, Taiwan e Cina, vedono peggiorare le prospettive a causa delle pressioni demografiche. S&P ha stimato che entro il 2060 circa la metà delle maggiori economie mondiali potrebbe essere declassata a spazzatura, rispetto al terzo attuale, se non saranno adottate misure per ridurre i costi dell’invecchiamento della popolazione. 

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Il nuovo Reddito di Cittadinanza sarà la Garanzia per l’Inclusione

La Garanzia per Inclusione è il nuovo strumento introdotto dal Governo a contrasto della povertà. Dal 1° gennaio 2024 sostituirà il Reddito e la Pensione di Cittadinanza. Sebbene fosse stato annunciato uno stravolgimento della misura, sulla base di quanto emerge Garanzia per Inclusione e Reddito di Cittadinanza non sono così differenti, se non per l’Isee più ‘basso’ necessario per accedere al beneficio. La novità principale della Garanzia per Inclusione riguarda infatti l’esclusione di una larga platea di possibili beneficiari in conseguenza dell’ulteriore abbassamento della soglia Isee, che passa dai 9.360 euro per il RDC a 7.200 euro per richiedere la GIL.

La soglia reddituale

Come nel caso del RDC anche per la GIL è richiesto un reddito familiare non superiore a 6mila euro moltiplicato per la scala di equivalenza, un valore in base a cui l’importo aumenta al crescere del numero dei componenti del nucleo familiare. In particolare, l’aumento è del 40% in presenza di uno o più componenti con più di 18 anni che non usufruiscono dell’assegno unico e del 220% con componenti in condizione di disabilità grave o non autosufficienti. Per figli minori percettori di assegno unico è riconosciuto un importo mensile pari a 50 euro. 

A chi spetta?

Un’importante novità riguarda i destinatari della Garanzia per l’Inclusione. Sebbene rientri nel quadro delle politiche attive per il contrasto alla povertà, nei fatti sembra essere più orientata ad agevolare l’inclusione sociale e lavorativa di soggetti fragili. Uno dei requisiti fondamentali per richiedere la Gil riguarda infatti la presenza, nel nucleo familiare, di almeno un componente con disabilità, un minore, un soggetto con almeno 60 anni, o con una patologia riconosciuta ai fini della dichiarazione di invalidità civile, anche temporanea. Inoltre, occorre essere cittadini italiani, essere cittadini europei, essere cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno, residenti in Italia da almeno cinque anni (erano 10 per il RDC), di cui gli ultimi due in modo continuativo.

Importi e durata

Viene mantenuto lo stesso sistema di calcolo adottato per il Reddito di Cittadinanza, a fronte del quale ai beneficiari verrà erogato un assegno mensile di 500 euro aggiornato alla scala di equivalenza, integrato di 280 euro di contributo per l’affitto. Il sussidio verrà erogato per 18 mesi con possibilità di richiederlo nuovamente per altri 12 dopo un mese di stop. Alla GIL si accompagneranno anche altre due ulteriori forme di sostegno che prevedono l’erogazione di un sussidio di importo pari a 350 euro, la Prestazione di Accompagnamento al Lavoro (spettante a coloro che hanno concluso i 7 mesi previsti di RDC e hanno sottoscritto un Patto per il Lavoro), e la Garanzia per l’attivazione lavorativa, destinata a tutti i soggetti appartenenti a nuclei familiari non in possesso dei requisiti per richiedere la GIL. Nello specifico, soggetti di età compresa tra i 18 e i 59 anni con ISEE non superiore a 6mila euro.

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Mercato immobiliare: il 2023 preannuncia uno scenario avverso

Il 1° Osservatorio sul Mercato Immobiliare di Nomisma conferma i timori affiorati a fine 2022. Il protrarsi della guerra russo-ucraina e la severità delle misure di politica monetaria decise dalla BCE concorrono a delineare un quadro tutt’altro che favorevole per il mercato immobiliare italiano, preannunciando per il 2023 uno scenario avverso. L’Osservatorio evidenzia quattro temi che sintetizzano quanto accaduto nell’ultimo periodo: la recessione mancata del Paese, il crollo dei prezzi energetici, l’inefficacia della politica monetaria delle banche centrali e le aspettative ancora in ‘mare aperto’.  In uno scenario macroeconomico complicato, e dalle prospettive ancora indecifrabili, il ricorso al credito da parte delle famiglie italiane diventa imprescindibile, scontrandosi però con un orientamento delle politiche di erogazione da parte delle banche più prudente e selettivo.

Politiche creditizie più prudenti incidono negativamente sulla domanda

“A rendere più impervio l’accesso al credito non è solo l’accresciuta onerosità del finanziamento, con tassi passati in media dall’1,93% di maggio 2022 al 3,79% di febbraio 2023, quanto la mutata percezione sulla solvibilità futura di molti potenziali mutuatari”, osserva Luca Dondi, AD Nomisma. 
Politiche creditizie più prudenti incidono quindi negativamente sull’afflusso di domanda al mercato, determinando una flessione dell’attività transattiva stimata nell’ordine del 14,6% su base annua.

Si accorciano i tempi per finalizzare la vendita

Il monitoraggio condotto su 13 mercati intermedi (Ancona, Bergamo, Brescia, Livorno, Messina, Modena, Novara, Parma, Perugia, Salerno Taranto, Trieste, Verona) conferma comunque il perdurare di un’intonazione positiva dei prezzi (+3,1% su base annua), anche se è riscontrabile una certa eterogeneità delle performance, dovuta principalmente agli sfasamenti temporali che hanno segnato le fasi di inversione dei cicli immobiliari. In nessun caso la variazione dei prezzi ha consentito un’effettiva salvaguardia in termini reali dei valori immobiliari. Nell’ultimo anno, però, i tempi per finalizzare la vendita di un’abitazione si sono accorciati (5,4 mesi in media), e tra i mercati monitorati è Trieste a segnare i tempi più bassi per concludere una trattativa di vendita (3 mesi). Insieme a Verona e Parma, Trieste rappresenta inoltre il mercato con maggiore liquidità.

Mercato corporate: i dubbi degli investitori stranieri

Nella media dei 13 mercati monitorati i rendimenti lordi da locazione non hanno subito variazioni significative, e si attestano in media sul 5,5% nel residenziale. Hanno raggiunto i livelli minimi del periodo (2000-2023) i tempi medi per affittare un’abitazione, scesi a 1,5 mesi. 
Sul versante corporate, invece, la situazione rilevata dall’analisi Nomisma appare più articolata. Proprio quando la risalita del comparto sembrava procedere con passo spedito, con volumi tornati su livelli prossimi ai massimi storici, il progressivo indebolimento delle prospettive di crescita economica ha fatto riemergere dubbi da parte degli investitori stranieri relativamente alle prospettive del Paese, e alla sostenibilità del debito pubblico. 

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Finanza green: perchè cala l’interesse degli italiani?

Tra i fattori che più inducono alla prudenza c’è il rischio del greenwashing, fenomeno ormai al centro dell’attenzione dei regolatori internazionali. Di fatto, nel 2022 l’interesse degli italiani verso gli investimenti sostenibili è in leggero calo. In prospettiva però la ‘finanza verde’ mantiene la sua forza di attrazione, tanto che buona parte degli italiani è disposta a valutare nei prossimi due anni un ri-orientamento del proprio portafoglio titoli in favore dei prodotti sostenibili. Si tratta di alcune evidenze emerse nel corso di un convegno svolto presso la Consob di Roma sul tema ‘Investimenti sostenibili. Conoscenze, attitudini e scelte degli investitori italiani’. Il convegno ha approfondito i temi della sostenibilità affrontati nell’ottavo Rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, presentato il 26 gennaio scorso.

Il 15% degli italiani investirebbe in prodotti finanziari sostenibili: -2% sul 2021

In un contesto di incertezza economica e geopolitica, caratterizzato da una brusca impennata dell’inflazione e dalla guerra in Ucraina, secondo un sondaggio condotto tra giugno e luglio 2022 su un campione di 1.436 intervistati, il 15% degli italiani si dice interessato a investire in prodotti finanziari sostenibili. Ovvero, quelli che si contraddistinguono per l’impegno verso la tutela dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori e dei valori del buon governo societario. Questo, anche a costo di accettare rendimenti più bassi rispetto a quelli prospettati da altre forme di investimento. Ma nel 2021 il dato corrispondente era al 17%.

Paura del greenwashing

Il 48% degli intervistati (57% nel 2021) si dichiara disposto a investire in prodotti finanziari Esg (Environment, Social, Governance) solo a condizione che i rendimenti siano pari, o addirittura superiori, a quelli offerti da investimenti non sostenibili. Il 17% dichiara, invece, di non avere alcun interesse per la finanza sostenibile, contro il 13% di un anno prima.
“I dati rivelano che il greenwashing, inteso come affermazioni fuorvianti sulle effettive caratteristiche di sostenibilità dei prodotti, è fra i timori e i rischi percepiti dagli investitori – osserva Chiara Mosca, Commissaria Consob -. È un fenomeno che può minare la fiducia”. Per questo, “il contrasto del greenwashing – aggiunge Mosca – è una priorità globale ed è nell’agenda dei regulator internazionali”.

Poco informati, ma disposti a rafforzare la componente “verde” del portafoglio

Dal sondaggio risulta anche che le conoscenze degli italiani sul mondo della finanza sostenibile sono ancora piuttosto limitate. Solo il 29% del campione, infatti, ha risposto correttamente ad alcune semplici domande sulle caratteristiche dei prodotti finanziari sostenibili. Tuttavia, malgrado la flessione registrata nel 2022, il ‘verde’ in finanza non perde appeal. Il 57% degli intervistati è infatti propenso a modificare nei prossimi due anni le proprie scelte di investimento, rafforzando la componente della sostenibilità. E l’interesse risulta maggiore tra le donne, i giovani, gli investitori abbienti e quelli più alfabetizzati dal punto di vista finanziario.

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Mutui: nel 2022 richieste a -22,7%

Secondo i dati EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF, la frenata delle richieste di mutui immobiliari registrata nel corso del 2022 riflette la componente ormai strutturale della contrazione delle surroghe, a cui si somma l’aumento dei tassi di interesse, che hanno fatto lievitare le rate erodendo ulteriormente la capacità di spesa delle famiglie. In particolare, nel 2022 le richieste di mutui immobiliari da parte delle famiglie registrano una contrazione del 22,7% rispetto al 2021. Quanto al fenomeno delle surroghe, nei primi nove mesi dell’anno scorso si nota una flessione del 58,2%, mentre i nuovi mutui erogati si mantengono pressoché stabili, con una modesta contrazione dell’1,1%.

Domanda penalizzata da aumento dei tassi e minore disponibilità delle famiglie

“In questi ultimi mesi la domanda di nuovi mutui è stata penalizzata principalmente da due fattori – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF -: aumento dei tassi di interesse e minore disponibilità delle famiglie al ricorso al credito per via del clima di incertezza sul fronte geopolitico e macroeconomico. Inoltre, ha sicuramente influito anche il temporaneo venire meno dell’offerta di mutui agevolati con garanzia Consap agli under 36, diventati economicamente non più sostenibili per l’offerta. Tuttavia, per il 2023 sono stati confermati molti incentivi governativi, in particolare quelli rivolti ai giovani, alla ristrutturazione edilizia e al risparmio energetico. Da considerarsi come dei veri e propri antidoti per l’intero comparto”.

Cresce l’importo medio: 144.458 euro, +3,8%

L’importo medio richiesto nel 2022 ha toccato la cifra record degli ultimi 10 anni, con un volume di 144.458 euro, in crescita del +3,8% rispetto all’anno precedente. Seppur con fluttuazioni e discontinuità, il trend di crescita è iniziato nel 2016, dopo una lunga fase recessiva, ma soprattutto, per il ridimensionamento dei contratti di surroga, che per natura presentano un valore decisamente inferiore a quello dei mutui d’acquisto. Di conseguenza quasi 3/4 delle richieste presenta un importo medio inferiore a 150.000 euro, in linea con il valore registrato nel 2022.

Gli under 35 catalizzano i volumi

A conferma della tendenza delle famiglie a orientarsi verso soluzioni di lungo periodo per non pesare troppo sul bilancio familiare, nel 2022 quasi l’85% delle richieste di mutuo si è caratterizzato per una durata superiore a 15 anni. Tendenza ulteriormente accentuata rispetto al passato, con una dilatazione dei piani di rimborso che ha fatto segnare per la fascia 25-30 anni un incremento dell’8,6% rispetto al 2021. Quanto alla distribuzione delle richieste di mutuo in relazione all’età del richiedente, si conferma la fascia under 35 come vero e proprio catalizzatore dei volumi di domanda, con il 35,6% del totale (+5,1%). Tra i driver che hanno inciso positivamente sull’andamento della domanda, sicuramente gli incentivi per i mutui giovani, di ristrutturazione, e soprattutto, i mutui green per l’efficientamento energetico dell’abitazione.

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Startup e Pmi innovative Ict: nel 2022 sono 8.416, +8,6%  

Nel 2022 la crescita demografica di startup e Pmi innovative Ict resta sostenuta. Sono 8.416 le startup con codice Ateco associato al settore Ict registrate a ottobre 2022, con una crescita dell’8,6% rispetto alle 7.749 rilevate al termine del 3° trimestre 2021. Secondo il report ‘Startup e Pmi innovative Ict: performance economica’ di Anitec-Assinform e InfoCamere, la distribuzione territoriale rimane stabile, con più della metà delle imprese concentrate in tre regioni (Lombardia, Lazio, Campania). Ed è stabile anche la distribuzione per filone di attività, con quote rilevanti in AI & Machine Learning (12,1%), IoT (10,7%), Mobile app (8,3%), oltre a Big data e Data science (5,1%), Block chain (4,7%), Cloud (3,8%), Industria 4.0 (3,7%). Bassa invece la quota di Spmii Ict in ambito cybersicurezza e crypto (2,2%).

I mercati più dinamici: attività 4.0 e digital enabler

Gli indicatori di produttività per azienda segnalano un progressivo miglioramento, soprattutto per le realtà attive nei mercati più dinamici, come 4.0 e digital enabler.  Complessivamente, le Spmii Ict con bilancio depositato nel 2021 hanno prodotto beni e servizi per un totale di 2,5 miliardi di euro. La forte concentrazione della mediana su valori ancora inferiori a meno di un quinto della media conferma che una quota sempre rilevante si trova in una fase embrionale di sviluppo. Uno sviluppo finalmente in accelerazione nel 2021 rispetto ai due anni precedenti, come confermato dalle dinamiche di produzione complessiva, media e mediana, in crescita demografica più dinamica nell’ultimo anno, soprattutto nei filoni di attività 4.0 e altre tecnologie e soluzioni digitali.

Spmii Ict digitali generano il 53% di produzione nell’Ict-digitale italiano

La migliore performance delle Spmii Ict in ambito digitale (4.0, Digital Enabler ecc,) si riflette anche a livello di utile netto, con un valore mediano superiore rispetto alle altre Spmii Ict, che comunque per almeno il 50% chiudono il bilancio 2021 a pareggio o in utile, generando nel complesso il 53% di produzione nel settore Ict-digitale. Nel complesso gli indicatori finanziari, da quelli di equilibrio finanziario a quelli di rotazione degli asset a quelli sul potenziale delle risorse di generare valore lungo un arco temporale di più esercizi, denotano una buona capacità delle risorse aziendali di manifestare benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi.

“Si confermano motore di innovazione in ogni settore produttivo”

“I dati – commenta all’Adnkronos Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform – confermano l’effervescenza del segmento delle Startup e delle Pmi innovative Ict. Queste imprese hanno realizzato maggior valore aggiunto con livelli di produttività migliori, soprattutto nei filoni 4.0 e digital enabler. Hanno mantenuto una sostenibilità finanziaria nel medio periodo, e continuano a generare margine. Le startup e Pmi innovative Ict, che hanno la capacità di creare nuovi prodotti e servizi e di generare nuovi posti di lavoro, si confermano motore di innovazione in ogni settore produttivo e rafforzano il loro ruolo per la crescita economica del nostro Paese”.

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