Nel 2023 avremo 63mila disoccupati in più. Tasso a livello 2011

Nel 2023 la crescita del Pil e dei consumi è destinata ad azzerarsi, contribuendo a incrementare il numero dei disoccupati di almeno 63mila unità fino a sfiorare quota 2.118.000.
Lo conferma l’Ufficio studi CGIA sulla base di un’elaborazione dati Istat e delle previsioni Prometeia.
L’Istat ha segnalato che a ottobre l’occupazione ha toccato il record storico, un grande risultato, che però potrebbe invertirsi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4%, un livello che comunque torna ad allinearsi con il 2011. Il Centro-Sud sarà il più ‘colpito’: l’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale.

I settori più in difficoltà

A livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento della disoccupazione sono Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993).
Sebbene non sia facile stabilire i settori maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, sembra che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire maggiori contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali, tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, macchinari, alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Difficoltà anche per trasporti, filiera automobilistica ed edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus.

Preoccupa la tenuta del lavoro autonomo

Da febbraio 2020 a ottobre 2022 i lavoratori indipendenti sono scesi di 205mila unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377mila.
La crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva, che a differenza dei lavoratori subordinati sono più fragili. In caso di difficoltà momentanea, ad esempio, non hanno né Cig né, in caso di chiusura dell’attività, alcuna forma di NASPI. Inoltre, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.

Rischio per la coesione sociale

Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita. Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche liberi professionisti, avvocati, commercialisti e consulenti, che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio.
Insomma, le città stanno cambiando volto. Con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. 
Anche la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è in difficoltà, e non sono poche le aree commerciali che presentano intere sezioni con attività che ora hanno abbassato le saracinesche.