Business Travel: in Italia nel 2023 cresce di quasi il 16% 

Il Business Travel Trend realizzato dal Gruppo Uvet registra nel mese di dicembre 2023 per il settore turistico un aumento complessivo di 10 punti percentuali (+15,9%) rispetto al 2022.
Più in dettaglio, sempre su base annua, il comparto Flight rispetto al 2022 cresce del +9% (+14,3%), mentre Hotel +9% (+12,3%), Rail +12%i (+23,1%), e Car Rental +10% (+12,5%)

Il Business Travel Trend, l’Indice mensile sui dati del Business Travel in Italia, è stato condotto con il Centro Studi Promotor (CSP) attraverso un campione rappresentativo di aziende che operano nei più svariati settori dell’economia italiana.

Aumenta la spesa media progressiva per hotel e aerei

Secondo lo studio, nel 2023 il comparto hotel chiude l’anno con un progressivo in valore pari a 102 (84 nel 2022), il segmento Rail 63 (54 nel 2022), la parte dei voli aerei 76 (64 nel 2022) e il Car Rental 116, un punto superiore rispetto all’anno precedente.
La spesa media progressiva registra un aumento sia nel settore hotel sia nella parte aerea. Un lieve calo si registra invece per quanto riguarda il Car Rental e il Rail.

Infine, la spesa media di dicembre segna un aumento significativo (140) rispetto al mese precedente. A dicembre, in termini di valore, restano elevati il BTT del Car Rental (120) e quello relativo all’Hotellerie (118). Treni e voli mostrano rispettivamente un indice 57 e 69.

L’andamento degli ultimi tre anni: dal 2020 al 2022

Il Business Travel Trend dell’ultimo triennio mostra chiaramente la dimensione dell’impatto dovuto alla crisi pandemica.
Le transazioni nel 2021 e 2022 hanno generato un indice 31 e 33, ulteriormente aggravato nel 2020 nell’indice del valore globale di spesa.

I prezzi medi sono quindi cresciuti sensibilmente nel 2022 (valore 127) per il triplice effetto dell’incremento della domanda nella seconda metà dell’anno, dell’inflazione e dei costi energetici, nonché della congestione dell’offerta specialmente nel comparto aereo.

Delineare una tendenza strettamente correlata a quella dell’economia

Fanno parte dell’analisi un mix di aziende grandi, medie e piccole che si sono costantemente avvalse dei servizi Uvet-GBT negli anni 2019-2023. Gli indici scaturiscono dall’analisi in volume e valore, nazionale e internazionale, del trasporto aereo e ferroviario, dei pernottamenti alberghieri e noleggio autovetture-
Il campione esclude le variabili aziendali, come, ad esempio, di crescita dovuta all’acquisizione di nuovi clienti o business. Per tale ragione il Business Travel Trend non mostra l’andamento di Uvet-GBT ma quello del Business Travel in generale.

L’indicazione periodica di questo indice, nel tempo, si prefissa di delineare un trend strettamente correlato all’andamento dell’economia.
Il BTT è quindi l’espressione di sintesi di un comportamento rispetto a una scala che per convenzione è stata costruita sui dati del periodo pre-Pandemia e all’interno di un cluster omogeneo e altamente rappresentativo.

Qual è l’impatto dei social media sugli adolescenti? Le risposte in uno studio britannico

Non è certo una sorpresa scoprire che i social media oggi permeano la vita dei più giovani, in tantissimi aspetti. Ma con quali effetti? Un nuovo studio condotto dalla University of Cambridge, che ha coinvolto migliaia di adolescenti britannici nati tra il 2000 e il 2002, rivela una realtà preoccupante. Nel Regno Unito i ragazzi subiscono una forte pressione dai social media, tanto che circa la metà dei giovanissimi si ritiene dipendente da essi. I dati, provenienti dallo studio Millennium Cohort e riportati dal Guardian, mettono in evidenza una percezione di dipendenza più accentuata tra le ragazze rispetto ai ragazzi.

Più dipendenti le ragazze dei ragazzi

Il team di ricerca, guidato dalla dottoressa Amy Orben, ha esaminato un campione di 19.000 partecipanti, chiedendo ai giovani di esprimere il proprio rapporto con i social media. Tra le 7.000 persone che hanno risposto, il 48% ha dichiarato di sentirsi d’accordo o molto d’accordo con l’affermazione “penso di essere dipendente dai social media”. Tuttavia, riferisce Ansa, una percentuale significativamente maggiore di ragazze (57%) ha riconosciuto questa dipendenza rispetto ai ragazzi (37%).

Differenze di genere e paura di perdere il controllo

Secondo Georgia Turner, che ha analizzato i dati, la dipendenza percepita dai social media non è da confondere con la dipendenza da sostanze, ma la sensazione di non avere il controllo sul proprio comportamento può essere preoccupante. Turner afferma che è sorprendente vedere così tante persone con questa percezione. La dipendenza dai social media potrebbe non essere paragonabile a quella da droghe, ma evidenzia comunque un disagio psicologico diffuso tra gli adolescenti britannici.

Preoccupazioni su tecnologie digitali e comportamenti compulsivi

Negli ultimi anni, si è sviluppata una crescente preoccupazione riguardo all’uso compulsivo delle tecnologie digitali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il “disturbo da gioco” nella sua classificazione internazionale delle malattie. Michael Rich, direttore del Digital Wellness Lab presso l’ospedale pediatrico di Boston, afferma che i risultati dello studio riflettono l’esperienza clinica del suo centro, dove una parte significativa dei giovani combatte con l'”uso problematico dei media interattivi” (Pimu), che include social media, giochi, pornografia e una sovraesposizione a brevi video, blog e siti. In conclusione, lo studio solleva importanti interrogativi sull’effetto dei social media sulla salute mentale degli adolescenti britannici e richiama l’attenzione sulla necessità di affrontare in modo responsabile l’impatto delle tecnologie digitali sulla giovane generazione.

L’Intelligenza artificiale generativa? Fa paura ai top manager

Una recente indagine condotta da Kaspersky ha evidenziato una crescente apprensione tra i dirigenti di alto livello in Italia riguardo alla diffusione sempre più ampia dell’intelligenza artificiale generativa (GenAI) all’interno delle aziende. Il 97% dei dirigenti senior intervistati ha confermato l’uso regolare della GenAI da parte dei dipendenti, con il 57% che la impiega per supportare specifiche attività.

Il timore di non controllare i dati aziendali

L’ampia diffusione dell’intelligenza artificiale ha suscitato preoccupazioni significative tra i dirigenti. Tra questi, il 53% esprime forti timori relativi ai potenziali rischi per la sicurezza.
Questi timori derivano dalla possibilità che la GenAI possa compromettere informazioni sensibili aziendali e portare alla perdita di controllo sulle principali funzioni aziendali.

La GenAI, una volta considerata una novità tecnologica, si è trasformata in una risorsa aziendale essenziale per automatizzare diverse attività. Nonostante la maggioranza dei dirigenti italiani abbia discusso della GenAI durante i consigli di amministrazione (94%) e abbia mostrato interesse nel comprendere meglio come i dipendenti utilizzano i dati (87%), i risultati indicano che i dirigenti C-Level hanno perso in gran parte il controllo sulla diffusione e sull’uso della GenAI all’interno delle aziende.

Solo il 31% dei dirigenti è informato sulla GenAI

La ricerca rivela che solo il 31% ha approfondito le questioni relative alle funzionalità e alle conseguenze della GenAI, mentre solo il 28% ha discusso dell’implementazione di norme e regolamenti per monitorare il suo utilizzo.
Cesare D’Angelo, General Manager Italy & Mediterranean di Kaspersky, ha sottolineato che, simile al fenomeno Bring Your Own Device (BYOD), la GenAI offre vantaggi significativi in termini di produttività, ma la sua diffusione incontrollata rende difficile il monitoraggio e la sicurezza in tutte le aree aziendali cruciali.

La GenAI funziona efficacemente grazie all’apprendimento continuo basato sull’inserimento di dati. Tuttavia, la trasmissione immediata dei dati inseriti dai dipendenti all’esterno dell’organizzazione è motivo di preoccupazione per i consigli di amministrazione, con più della metà dei dirigenti allarmati dalla possibilità che i dipendenti possano involontariamente rivelare informazioni sensibili dell’azienda (53%) e dei clienti (52%).

Ma l’evoluzione non si può fermare 

Nonostante le preoccupazioni sulla sicurezza, quasi la metà dei dirigenti prevede di utilizzare la GenAI per automatizzare attività ripetitive svolte dai dipendenti (48%) o da loro stessi (46%), piuttosto che sostituire il personale (16%). Inoltre, il 47% dei dirigenti C-Suite vede la GenAI come un’opportunità futura per colmare il gap di competenze.

Nonostante i rischi evidenziati, il 29% dei dirigenti ha manifestato il desiderio di automatizzare i dipartimenti IT e di cybersecurity utilizzando la GenAI. Cesare D’Angelo ha concluso affermando che, nonostante la possibilità di gravi ripercussioni economiche e reputazionali, molti dirigenti stanno considerando la delega di attività rilevanti all’intelligenza artificiale.
Pertanto, è cruciale comprendere completamente la gestione dei dati e implementare politiche robuste prima di qualsiasi ulteriore integrazione della GenAI nell’ambiente aziendale.

Consumi: quali sono i falsi miti della Generazione Z?

Irriverenti, incoerenti, fragili ma trascinatori, i nati fra il 1997 e il 2012 influenzano famiglie, aziende e istituzioni. Ma a svelare il ‘profondo fraintendimento’ tra quello che gli 8,9 milioni giovanissimi della Generazione Z ‘sono’ e ciò che pensano di loro adulti e aziende, è l’analisi del think tank Zelo.
Un esempio? Il luogo comune più ripetuto del 2023 è ‘la GenZ è sostenibile e salverà il mondo’. Ma è davvero così?

“Questa generazione – spiegano gli esperti di Zelo – è nata in un mondo già esaurito, consumato e ferito dalle generazioni precedenti, ed è sicuramente pronta a difendere la causa, ma non disposta a scendere in campo con azioni concrete”.

“Vogliono verità senza filtri, se non quelli di TikTok”

I ragazzi della GeneZ, “vogliono occupare lo spazio in modo nuovo, non vogliono pagare i debiti lasciati in eredità dalle generazioni precedenti – continuano gli analisti -. Se i loro genitori e nonni cercavano modelli fissi in cui riconoscersi, i nati dopo il 1997 hanno la decostruzione come presupposto: vogliono verità senza filtri, se non quelli di TikTok”.

Cecilia Nostro, Founder di Zelo, ammette: “Sono rimasta affascinata dalle sfumature della GenZ e da anni, ogni giorno, cerco di decifrarla con passione, pazienza e audacia, per risolvere il fraintendimento che blocca l’ingranaggio generazionale sulla base del quale si erge l’equilibrio della società”.

Solo il 15% è concretamente sostenibile nei propri comportamenti

E così, dopo Black Friday e Cyber Monday, la GenZ sta per affrontare la corsa ai regali natalizi. Ma in termini di sostenibilità, e in uno dei periodi dell’anno a maggior impatto, se da un lato questi ragazzi sembrano essere impegnati nella lotta al cambiamento climatico e ad arginarne le conseguenze, dall’altro Zelo mostra uno scenario diverso.
Solo un timido 15% del campione intervistato dichiara di sentirsi davvero, e concretamente, sostenibile nei propri comportamenti e nelle proprie scelte.

Grandi fan del fast fashion

Un 17% di giovani GenZ, invece, ammette che il proprio impegno a riguardo si ferma nel fare la raccolta differenziata, e il 33% afferma di non sentirsi sostenibile come tutti sembrano pensare.
Il rimanente 35% si ritiene consapevole e informato, ma poi si chiede, “cosa possiamo fare?”.

Insomma, analizzando i comportamenti di acquisto della GenZ emerge come soltanto se colti alla sprovvista, e per non fare brutta figura, i GenZ cercano di adeguarsi all’immagine che genitori, tv e giornali hanno di loro, ovvero, ‘quelli impegnati a salvare il mondo’. Al contrario, riporta Adnkronos, i loro comportamenti quotidiani non sembrano offrire conferme alla tesi, anzi: i grandi fan del fast fashion sono proprio i GenZ.

Italiani e tv, un rapporto in continua evoluzione  

Che ruolo ha oggi la televisione all’interno delle nostre case e delle nostre vite? E come la utilizziamo? A queste domande risponde Samsung Electronics Italia con il suo recente Social Poll “TV? Mi piaci tu!”, lanciato in occasione della Giornata Mondiale della Televisione. Il sondaggio ha coinvolto la community di Instagram, raccogliendo oltre 2.800 risposte e offrendo uno sguardo aggiornato sul ruolo del televisore all’interno delle abitazioni. Un excursus sulle abitudini più comuni di fruizione e sui parametri che guidano i consumatori nelle decisioni d’acquisto.

Solo uno schermo gigante o apparecchi in ogni locale?

Emergono diverse tendenze interessanti che riflettono la pervasività del televisore nelle case degli intervistati. Il 40,6% ha dichiarato di possedere un apparecchio in ogni stanza, mentre il 36% ha indicato di averne due, riservando il secondo alla camera da letto per godersi momenti di relax davanti a un film. Un altro 23% ha scelto invece di avere un unico televisore di dimensioni generose, che diventa così il protagonista del living.

La tv? Perfetta per il gaming

Le sorprese non si fermano qui, poiché le risposte delineano nuove abitudini di utilizzo della tv. Circa il 30% degli intervistati considera il televisore il compagno perfetto per il gaming, una passione che sta diventando sempre più diffusa e condivisa.
Il 27,3% apprezza i grandi schermi per facilitare la fruizione dei contenuti streaming in famiglia, mentre il 26,4% attribuisce importanza al design, sottolineando il ruolo crescente del televisore come elemento di arredo. Infine, il 16,8% mette al centro l’audio per vivere un’esperienza immersiva simile a quella del cinema.

Quando si tratta di utilizzare il televisore, la maggioranza della community associa la tv al relax serale davanti a un film (65,8%). Tuttavia, c’è anche chi preferisce utilizzarla per rimanere informato sulle notizie (18,6%) o tenerla acceso costantemente come sottofondo sonoro durante altre attività (15,5%).

Per quasi tutti il televisore si cambia quando… non va più 

Le prestazioni e l’affidabilità avanzate dei televisori consentono alla maggior parte degli intervistati (70,8%) di cambiarli solo quando diventano irrimediabilmente compromessi e non funzionanti.
Una percentuale significativa (20,6%) si concede cinque anni prima di considerare l’acquisto di un modello più innovativo, mentre una nicchia di appassionati delle ultime novità (8,5%) non vede l’ora di sostituire il proprio televisore con l’ultimo top di gamma.

Singles’ Day 2023: l’evoluzione della “singletudine” tra falsi miti e realtà 

Cosa significa oggi essere single? In occasione del Singles’ Day, la giornata dedicata alle famiglie monocomponenti che si celebra l’11 novembre, l’Osservatorio Single di Ipsos offre una chiave di lettura per farsi strada tra falsi miti ed esigenze reali di un nuovo target sempre più esteso.

L’Osservatorio inserisce questa tendenza nella necessità di trascorrere più tempo da soli, un bisogno sentito dal 58% degli italiani. Il 67% sostiene poi che fare attività da soli li rende orgogliosi. Ma oltre al nuovo sentimento di empowerment e fierezza, emerge anche qualche ombra e necessità di rassicurazione sociale.
A oggi in Italia i single sono il 33% del totale, e un single su cinque ha meno di 45 anni. Nei prossimi 20 anni si stima che aumenteranno del 17% e del 9% i genitori senza partner, mentre le coppie con figli diminuiranno del 18%.

Sinonimo di indipendenza e sicurezza di sé

Essere single oggi principalmente è sinonimo di orgoglio. I single nella contemporaneità sono percepiti come completi, indipendenti, sicuri e con la piena consapevolezza di sé e del valore del proprio tempo.

Prendersi momenti in solitaria è considerato un arricchimento del proprio valore, che alimenta il senso di autonomia e orgoglio. Il 67% delle persone sostiene che fare attività da soli rende soddisfatti (donne 74% vs 61% uomini).
In merito alle attività, i viaggi in solitaria risultano molto appealing: il 63% ritiene motivo di orgoglio viaggiare da soli, soprattutto le donne, per le quali è un’opportunità fondamentale per acquisire fiducia ed essere orgogliose (72% vs 57% uomini).

L’altro lato della medaglia: incerti e con difficoltà economiche

Tale contesto incontra il successo delle app di dating. Strumenti e piattaforme di incontro sono sempre più percepiti come occasioni per connettersi e aprirsi all’altro. Il 50% degli intervistati e delle intervistate, sostiene che le app social e di incontri sono un’opportunità di valore per creare relazioni, amicizie e (non solo) incontri casuali.

Ma l’altro lato della medaglia racconta di sfide, incertezze, difficoltà economiche e rischio di isolamento.
L’inflazione e il caro vita infatti affliggono anche i single: il 45% afferma di avere difficoltà a mantenere il proprio tenore di vita, e l’83% sostiene che è importante pianificare i risparmi per affrontare il futuro.

Attenzione al rischio isolamento

Ma anche il viaggio assume un connotato diverso. Una persona su due dichiara che viaggiare è più costoso come singolo. E, al di là del portafoglio, risulta evidente anche un topic legato alla sicurezza e al timore del viaggiare in solitaria.

Il 47% delle persone intervistate dichiara che vorrebbe viaggiare in solitaria, ma pensa che sia pericoloso, soprattutto le donne (57% vs 40%). Inoltre, 8 persone su 10 affermano che avere qualcuno con cui condividere le esperienze sia essenziale per viverle appieno.
Importante poi il tema del benessere e la salute mentale, che può essere intaccata se si scivola nell’isolamento. Un rischio, in particolare, per chi vive da solo. 

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Risparmi: l’ottimismo è in ripresa tra gli italiani

Rispetto al 2022 diminuiscono le famiglie in forte difficoltà economica e aumentano quelle con una migliore tenuta del tenore di vita. Scende poi dal 17% al 14% la quota di chi appare seriamente in difficoltà.
La fiducia per il clima economico nel nostro Paese sta tornando a livelli analoghi a quelli della prima metà del 2021.
Lo attesta l’indagine annuale di Ipsos condotta per Acri, dal titolo Scelte consapevoli, educazione, responsabilità: la sfida del risparmio per le nuove generazioni.

Guardando al futuro, le previsioni sull’andamento dell’economia personale, locale, fino a quella europea e mondiale, portano gli italiani da un marcato pessimismo dello scorso anno a un rimbalzo positivo, trainato da forti attese personali, specie nella generazione di mezzo.
Solo riguardo la situazione del Paese i dati rimangono in linea col 2022.

Strumenti finanziari più sicuri

A scapito dell’immobilismo e della liquidità, certamente legata all’inflazione e ai maggiori rendimenti offerti da molti intermediari e titoli di Stato, cresce la propensione verso strumenti finanziari più sicuri. Questo in un quadro, comunque, di incertezza verso regole e controlli, che penalizza gli strumenti più a rischio.
I più giovani però lamentano bassa competenza finanziaria, bassa autonomia gestionale ma sono molto interessati a approfondire i temi.
La sfida è quindi culturale e educativa, perché i più giovani ambiscono a una autonomia che raggiungono solo tardi, e a fatica.

Si indebolisce la fiducia nell’Unione

In questo scenario incerto, si indebolisce la fiducia nell’Unione Europea e nell’euro, sostenuta comunque dalle nuove generazioni. I dati evidenziano una polarizzazione tra chi ha fiducia nelle azioni e nelle scelte che verranno prese (51%) e chi no (49%).
A intaccare la fiducia ha contribuito la politica dei tassi di interessi della BCE per contrastare l’inflazione. Una misura che ha messo in difficoltà molte famiglie e imprese, costrette a pagare interessi più alti su mutui, prestiti, e finanziamenti, e per questo divenute molto più critiche verso la UE.
Inoltre, va sottolineato come le crisi legate alla scarsità e ai costi maggiori di materie prime ed energia abbiano indebolito l’idea che l’Europa, sempre riconosciuta per la sua tutela delle libertà e dei singoli, sia in grado di difendere gli ideali democratici e la capacità competitiva sui mercati internazionali.

Il ruolo sociale del risparmio

Sembra allentarsi poi il legame percepito tra responsabilità sociale e ambientale, abilitatori della competitività aziendale e dello sviluppo economico del Paese. Rimane però importante il contributo delle associazioni di categoria, dei corpi intermedi, e del Terzo settore, nel garantire coesione sociale e sviluppo.
I singoli cittadini rimangono molto attivi, sia nell’ambito del volontariato, donando il proprio tempo, e ancor più facendo donazioni per sostenere il Terzo settore e iniziative benefiche.
Coerentemente, è sempre forte la percezione del ruolo sociale del risparmio, strumento fondamentale per garantire crescita economica, sviluppo sociale e civile del Paese.

Stress e rischio burnout? Ora c’è il manager della felicità

In un momento in cui trecento milioni di persone al mondo soffrono di disturbi mentali derivanti dal lavoro, lavorare per favorire il benessere organizzativo all’interno di un contesto ispirato al modello di organizzazione positiva è importante.

È proprio questo il ruolo del manager della felicità. Perché prestare molta attenzione al benessere di dipendenti e collaboratori porta felicità in azienda, e ciò favorisce e stimola la produttività.
A oggi sono solo 300 i manager della felicità ufficiali, riconosciuti dall’Italian Institute of Positive Organization, tra i quali Francesca Cafiero, certificata Cho (chief happiness officier), e presidente di Nieco, realtà impegnata da oltre 40 anni nello smaltimento rifiuti del centro Italia.

Felicità uguale competenza 

Preso atto di uno scenario preoccupante, Francesca Cafiero ha stilato una lista di consigli che si rifanno proprio ai pilastri della ‘scienza della felicità’, utili a manager e lavoratori.
Spesso si sa, in ogni contesto lavorativo si tende a primeggiare. Mettere al centro ‘l’io’ è l’errore più grande che si possa fare. Alimenta l’invidia, le gelosie, i rancori.

Ragionare in termini di gruppo è, al contrario, la chiave vincente per raggiungere grandi traguardi, perché quando i risultati sono buoni si gioisce insieme, quando lo sono meno si condivide un insuccesso e ci si rialza più facilmente e velocemente.

Favorire una chimica positiva

Abbattere le barriere culturali e di ruolo e favorire una chimica positiva è poi un approccio utile sia ai manager sia ai dipendenti, perché alimenta l’amalgamarsi di un gruppo di lavoro e promuove relazioni interpersonali sane. Di conseguenza, ne beneficiano anche le scelte aziendali.

Non chiedere di eseguire, e non limitarsi a eseguire: i lavoratori non sono automi, hanno sentimenti, ed è importante mettere in mostra le proprie qualità umane. Il compito di un buon manager è proprio quello di valorizzarle al meglio. Solo così è possibile svolgere al meglio i propri compiti e contribuire al raggiungimento dei risultati aziendali.

Riconoscere i meriti e dialogare

Lavorare fuori orario, chiedere ripetutamente straordinari non pagati, non rispettare i ruoli, lasciare spazio a simpatie e antipatie, non riconoscere i meriti alimenta il caos all’interno di un contesto aziendale.
La disciplina è importante, riferisce Adnkronos, e devono essere garantiti i diritti di ogni singolo lavoratore. Spesso in molte aziende non vengono fatti notare errori, o non si riconoscono i meriti di un dipendente, oppure non interessa che un collega sta attraversando un periodo difficile.

Il dialogo, al contrario, è fondamentale, sia dal punto di vista umano sia professionale.
E interessarsi della salute di un dipendente o un collega è una buona pratica che rafforza il rapporto tra persone e tra professionisti.

Chi ha paura dell’AI sul lavoro? Più della metà degli italiani

Lo ha scoperto la ricerca commissionata a Ipsos da Kelly, la società internazionale di head hunting: più della metà degli italiani, il 53%, è preoccupata che l’Intelligenza Artificiale possa ridurre le ore lavorate e di conseguenza, lo stipendio.
Per quasi 7 italiani su 10 l’AI creerà quindi una ulteriore frattura retributiva.

“In particolare – spiega Cristian Sala, country manager di Kellly Italia -, il livello di scolarità, più o meno elevato, farà da spartiacque nelle retribuzioni più che l’età, il genere o la collocazione geografica”.
Al contrario, una quota di cittadini prevede un aumento delle ore di lavoro, anche se a parità di retribuzione, a causa della necessità di supervisionare le attività svolte dall’AI.

Riduzione del personale o sviluppo di nuove professioni?

Inoltre, per il 68% del campione l’AI causerà una riduzione del personale nelle aziende, mentre per il 55% causerà addirittura la chiusura di attività. E per il 71% a beneficiare dell’AI saranno soprattutto le aziende più grandi e strutturate a discapito di quelle più piccole.

D’altro canto, il 63% pensa che l’Intelligenza artificiale porterà allo sviluppo di nuove professioni e professionalità che debbano gestire e supervisionare le attività che verranno poi svolte dall’AI stessa. Ci sarà, quindi, più tempo da dedicare alle mansioni complesse, mentre òe attività più ripetitive potranno essere gestite tramite l’AI (71%),
Tutto ciò porterà più efficienza e produttività (65%) e maggiore sicurezza per le mansioni più rischiose (61%).

Formazione significa anche rassicurare

A questo proposito, il 63% degli italiani è convinto che le aziende debbano provvedere necessariamente a formare in maniera adeguata tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di mansione, o se in ambito tecnologico o meno.

“Non è un caso che il 57% del campione è d’accordo con il fatto che è importante essere ben informati sul funzionamento dell’AI, in modo tale da poterla controllare e comprendere se sta eseguendo correttamente il compito assegnato – aggiunge Sala -. La formazione diventa anche strumento di rassicurazione davanti a un fenomeno che per molti rivoluzionerà, in tempi più o meno lunghi, non solo la vita lavorativa, ma anche quella personale”.

Rischio isolamento o maggiore connessione?

Se per 4 italiani su 10 l’Intelligenza artificiale porterà a un maggiore isolamento dai colleghi, poiché non ci sarà più bisogno del confronto umano, un’analoga quota ritiene che l’AI, al contrario, potrà essere d’aiuto nel connettere persone che parlano lingue diverse, così come tra chi lavora in diverse sedi o uffici.

Quasi l’80% del campione è concorde invece sull’auspicio che l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale venga regolamentato dai Governi all’interno di un quadro legislativo internazionale, che imponga il rispetto tassativo delle normative.

I cyber criminali sfruttano i brand name: come proteggersi?

I criminali informatici sfruttano la buona reputazione dei brand per condurre attività malevole: copiano fedelmente il sito web di un brand o un servizio online e utilizzano contenuti accurati per ‘ingannare’ le vittime. L’obiettivo è rubare le credenziali di accesso o sottrarre informazioni aziendali e finanziarie. Tutto ciò può comportare non solo gravi perdite in termini di dati e denaro, ma può anche danneggiare la reputazione del marchio compromesso. Secondo l’ultimo report Spam e Phishing di Kaspersky, nel 2022 il maggior numero di clic su link di phishing bloccati riguarda le pagine che si spacciano per servizi di consegna (27,38%), seguite dagli store online (15,56%), i sistemi di pagamento (10,39%) e le banche (10,39%).

Saper riconoscere e-mail e siti di phishing

Per proteggere il proprio brand da possibili rischi informatici, è opportuno seguire alcune semplici regole. La prima è insegnare a riconoscere e-mail o siti di phishing ai dipendenti e ai clienti.
Una scarsa attenzione alla sicurezza informatica da parte del personale può infatti portare all’interruzione di importanti attività aziendali e alla perdita di dati. I cybercriminali possono impossessarsi dei profili social dell’azienda ed effettuare attività malevole per suo conto. E i clienti corrono lo stesso rischio, quindi, dovrebbero conoscere le possibili minacce. Per farlo, le aziende possono organizzare corsi di formazione dedicati alla cybersecurity per i dipendenti e creare storie o campagne e-mail che spieghino ai clienti come identificare le attività di phishing.

Anche il cliente deve essere consapevole

Se si lavora nel settore finanziario o in un altro ambito particolarmente sensibile, che spesso attira l’interesse dei criminali informatici, è importante avvertire i propri clienti e fare in modo prendano consapevolezza del crescente rischio di poter essere ingannati. Occorre quindi invitarli a prestare maggiore attenzione alle e-mail e ai messaggi che ricevono. Inoltre, è opportuno chiedere ai propri clienti di segnalare eventuali attività sospette svolte a nome del marchio, attraverso screenshot o altre prove tangibili, così da potere scoprire in tempo le azioni sospette.

Attenzione alle impostazioni di sicurezza degli account sui social

Di solito le aziende postano informazioni non solo sulle proprie risorse, ma anche su piattaforme esterne. Per questo è importante controllare attentamente le impostazioni relative alla privacy, creare password complesse, e dove possibile, impostare l’autenticazione a due fattori. Utilizzare strumenti di threat intelligence permette di rilevare in modo tempestivo eventuali attacchi di impersonificazione di un brand. Queste soluzioni offrono notifiche in tempo reale sul phishing mirato e i profili social falsi, nonché aiutano a tracciare la comparsa di siti web di phishing, che sfruttano il brand name di un’azienda, nonché a monitorare e rimuovere i falsi account di social network, e le app nei marketplace mobili.