Lavori sul tetto e responsabilità civile del committente

Solitamente tendiamo a pensare che la sicurezza di chi lavora ad alta quota, e dunque sul tetto di un edificio, vada tutelata soltanto nel caso di un cantiere edile o industriale.

Nulla di più sbagliato in realtà, perché questa sicurezza è da perseguire anche in ambito privato e dunque tutte le volte che chiediamo ad un professionista (a qualsiasi titolo) di salire sul tetto della nostra abitazione o condominio.

È la legge stessa infatti a prevedere che le norme di sicurezza che solitamente vengono adottate nei cantieri debbano essere adoperate anche sulle coperture delle abitazioni civili. Alcune regioni italiane hanno direttamente introdotto l’obbligo di implementare delle misure di sicurezza sui tetti delle abitazioni civili, come ad esempio una linea vita sul tetto o altri sistemi anticaduta.

Sempre più dunque, la strada che si sta percorrendo è quella di invitare anche i privati, oltre chiaramente tutti coloro i quali operano a qualsiasi titolo in ambito edile o industriale, a mettere la sicurezza dei lavoratori al primo posto.

La responsabilità del committente

D’altronde la legge è chiara e, in caso di infortunio del lavoratore, il committente è responsabile in sede civile e penale.

Per questo motivo dobbiamo sempre stare attenti quando ingaggiamo un professionista e gli chiediamo di salire sul tetto di casa per conto nostro.

Ciò vale chiaramente anche per un intervento sul tetto da parte dell’ antennista, un tecnico per la riparazione delle tegole, pulizia della canna fumaria del camino o qualsiasi tipo di intervento di manutenzione che richieda l’accesso al tetto.

No non vale dunque assolutamente la pena rischiare qualcosa e conviene sempre mettere la sicurezza delle persone al primo posto, per questo motivo facciamo bene a provvedere ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie.

Dispositivi di protezione individuale e collettivi

Proprio per lavorare nell’ottica di garantire la sicurezza assoluta ai lavoratori è necessario implementare, anche semplicemente in ambito privato, i dispositivi di protezione individuale che possono aumentare notevolmente il livello di sicurezza.

Pensiamo ad esempio ad una linea vita tetto, la quale può essere installata in maniera definitiva e rappresentare un punto di ancoraggio sicuro per tutti coloro i quali nel tempo avranno necessità di effettuare qualsiasi tipo di lavoro sul tetto.

Il lavoratore potrà dunque facilmente agganciare la propria imbracatura alla linea vita, così da essere sempre protetto e ben ancorato anche nel caso in cui dovesse verificarsi una eventuale caduta dall’alto.

Grazie a questo tipo di sistema, ogni eventuale caduta verrà immediatamente arrestata evitando così qualsiasi tipo di conseguenza derivante dalla caduta dall’alto.

A questo tipo di sistema è possibile integrare anche un interessante dispositivo che ha la capacità di agire da frizione, dunque ammorbidire l’arresto della caduta nel momento in cui questa si dovesse verificare.

Grazie a tale frizione le forze che entrano in gioco nel momento in cui si arresta una caduta non andrebbero a scaricare interamente sul corpo del lavoratore ma al contrario andrebbero a distribuirsi rendendo così ancora più morbida la fase di arresto.

A questo tipo di sistema di protezione vanno sempre abbinati gli altri dispositivi di protezione individuale quali caschetti e scarpe infortunistica ad esempio, mentre le linee vita vengono definite un sistema di protezione collettivo dato che danno modo a più di una persona contemporaneamente di potersi agganciare e lavorare in sicurezza.

Conclusione

In ambito privato bisogna dare massima importanza ai lavoratori e soprattutto alla loro sicurezza quando effettuano qualsiasi tipo di lavoro ad alta quota per conto del committente.

Proprio il committente per legge è responsabile in sede civile e penale e per questo motivo facciamo bene ad installare sul tetto della nostra abitazione o quello condominiale i dispositivi di sicurezza necessari a fare in modo che tutti possano lavorare senza patemi d’animo e senza mettere a rischio la propria incolumità.

Missione (im)possibile: esiste l’equilibrio tra lavoro in presenza e flessibilità?

La quinta edizione del l’European employer survey, il report annuale di Littler, mostra una spaccatura tra il desiderio di aumentare il lavoro in presenza e la garanzia di flessibilità necessaria per attrarre e trattenere i talenti. Di fatto, per il 30% dei direttori hr e in-house lawyer europei intervistati l’azienda ha effettuato un completo ritorno alla presenza, e per il 27% ha optato per una forma ibrida, con più giorni di lavoro in presenza e meno da remoto. Solo l’11% vede i propri dipendenti seguire un orario ibrido con più giorni da remoto e meno in presenza, mentre per il 5% i dipendenti lavorano completamente da remoto. Sembra quindi che le aziende preferiscano il lavoro in presenza. Così ha dichiarato il 73% dei datori di lavoro, che stanno valutando la possibilità di ridurre il lavoro a distanza. Questo però si scontra con la riluttanza dei dipendenti a rinunciare alla flessibilità acquisita.

Lavoro in presenza o da remoto?

Cresce comunque l’importanza di valutare i vantaggi generati da modalità di lavoro da remoto, che il 79% vuole aumentare per attrarre e trattenere i talenti. I motivi principali che spingono i datori di lavoro a richiedere un maggior numero di ore di lavoro in presenza riguardano la cultura e il lavoro di squadra, in particolare, maggiore collaborazione fra team e stimolazione del pensiero creativo (54%) e maggior impegno da parte dei dipendenti (48%). Vantaggi correlati a uno dei principali motivi di rinuncia del lavoro da remoto, ovvero il mantenimento della cultura aziendale e del coinvolgimento dei dipendenti (53%).

Burnout e nomadismo digitale

Indipendentemente dal modello di lavoro, resta alta l’attenzione a salute mentale e benessere delle risorse umane. Sebbene 9 intervistati su 10 abbiano adottato iniziative in questa direzione, solo il 28% lo ha fatto in maniera strutturata.  Inoltre, quando si tratta di offrire una soluzione al burnout, la flessibilità oraria è stata l’unica misura adottata (54%), mentre meno di un terzo degli intervistati indica il lavoro individuale con i dipendenti per gestire i carichi di lavoro. La gestione del nomadismo digitale, poi, rappresenta un’altra nuova sfida. Un fenomeno in aumento, con il 73% delle aziende che dichiara di avere dipendenti ‘nomadi digitali’. Tra queste, l’89% è preoccupata per i rischi legali, le implicazioni fiscali e altri problemi occupazionali.

L’AI e il recruiting, ma cautela ad assumere

Per supportare le attività di recruiting e assunzione il 47% degli intervistati sta utilizzando o pianificando di utilizzare soluzioni tecnologiche o strumenti di AI. Inoltre, il 61% di coloro che già utilizzano tali strumenti ne ha incrementato l’utilizzo, sottolineando l’efficacia dell’AI e della tecnologia per attrarre nuovi talenti.
Ma in un contesto di crescente incertezza economica, l’indagine rileva anche segnali di cautela da parte dei datori di lavoro europei, che tuttavia non sembrano ancora adottare misure drastiche. Circa un quarto (27%) esita nell’assunzione di nuove risorse, mentre il 37% sta valutando o attuando riduzioni di personale.

Export filiera legno-arredo: Lombardia prima regione nel I trimestre 2022

È la Lombardia la prima regione per valore esportato nella filiera legno-arredo. Con una quota del 28%, +22,8% sul primo trimestre 2021, la Lombardia si conferma in testa, seguita da Veneto (+14,6%), Friuli Venezia-Giulia (+26,4%), Emilia-Romagna (+14,1%) e Toscana (+28,1%). A livello provinciale, invece, Treviso è ancora in testa alla classifica (+7,6%) rispetto a gennaio-marzo 2021, ma è Pordenone a registrare la crescita più significativa (+31%), seguita da Monza e Brianza (+22,6%). Quanto all’andamento complessivo delle regioni le esportazioni sono quasi tutte in crescita, a eccezione di Campania e Molise che chiudono rispettivamente a -19,2% e -1%.  Lo rivelano i dati sui flussi commerciali nel primo trimestre 2022 elaborati dal Centro Studi FederlegnoArredo.

Il comparto mobili

A livello di comparti sono le esportazioni di mobili a pesare di più: la Lombardia, con quasi 800milioni di euro registra una crescita del 24,1% rispetto ai primi tre mesi 2021, ed esporta soprattutto in Francia (+18,3%) e negli USA (+44,2%). Il Veneto (776milioni di euro, +14,8%) in Germania (+31,9%), il Friuli Venezia-Giulia (503milioni, +28,5%) nel Regno Unito (+45,6%) e negli USA (+71,9%), l’Emilia Romagna (226milioni, +14,5%) in Francia (+1,9%) e in Cina (+44,8%) e le Marche (146milioni, +10%) soprattutto negli USA (31,5%). Treviso è la provincia che esporta più mobili (481milioni, +6,5%), ma è Vicenza a registrare la crescita maggiore (129milioni, +49,1%), seguita da Bari (122milioni, +35%).

Illuminazione

Anche per l’illuminazione la Lombardia si conferma la prima regione per valore esportato nei primi tre mesi del 2022, con 210milioni di euro e una crescita del 10,8%% rispetto ai primi tre mesi 2021.
Germania e Francia le prime due destinazioni, in crescita del 3,5% verso il primo Paese, in flessione (-4,8%) nel secondo. Ma sono le esportazioni verso gli USA (+68,7%) e gli Eau (+49,2%) a registrare gli andamenti più significativi tra i primi 10 mercati di destinazione. Milano e Brescia le principali province per valore esportato (rispettivamente 69milioni, +7,6% e 46milioni, +1,6%). Bergamo la provincia che cresce di più in Lombardia (26milioni, +57,3%).

Legno

Anche per il legno la Lombardia si conferma la prima regione per valore esportato. Con 168milioni di euro e una crescita del 33,8% esporta principalmente prodotti in legno (158milioni di euro, +34,3%) verso Germania (+31%), Francia (+21,8%) e USA (+22,3%), ma sono le esportazioni verso la Cina a registrare la crescita più rilevante (+128,6%). Il Veneto invece esporta principalmente tronchi e segati (44milioni di euro, +25%) verso il Regno Unito (+37,3%). Bolzano è la prima provincia per valore esportato nel totale legno (57milioni, +31,6%), mentre Mantova registra la crescita più alta (+54,5%, 38milioni.

Milano, Monza Brianza e Lodi: tiene il sistema imprenditoriale nel primo semestre 2022

Nei primi sei mesi del 2022 continua la performance positiva delle iscrizioni di nuove imprese, che aumentano rispetto al primo semestre del 2021, sebbene in misura contenuta: sono 17.129 le nuove imprese nate al 30 giugno nei territori di Milano Monza Brianza Lodi, cresciute dello 0,8% su base tendenziale (erano state 16.994 nei primi sei mesi del 2021). Sono alcuni dei dati contenuti nel 32o rapporto “Milano Produttiva” del Servizio Studi Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. Cresce anche la mortalità, con 12.173 chiusure (+1,9%), che sta tornando lentamente ai livelli fisiologici dopo i cali anomali registrati nel primo semestre del 2021 e del 2020, a causa delle conseguenze del blocco delle attività economiche prodotto dalla crisi sanitaria; tuttavia, il numero delle cancellazioni rimane ancora inferiore al dato pre-Covid (nel I semestre 2019 erano state 14.781). 

Positivo il saldo tra aperture e chiusure 

Come già ipotizzato per i dati dell’anno, probabilmente ci sono ancora aziende che, seppur in crisi, ritardano la chiusura, soprattutto se in attesa dei ristori governativi per la forzata riduzione delle attività. Il saldo tra iscrizioni e cancellazioni è stato positivo: +4.956 imprese (con il contributo determinante di Milano: +4.237 il suo saldo), risultato in lieve calo rispetto a quello registrato nel primo semestre del 2021, quando era stato di +5.050 unità. Conseguentemente, il tasso di crescita si conferma positivo (+1,05%, molto vicino all’1,08% del primo semestre 2021). Osserviamo, infine, che la natalità è praticamente tornata ai livelli pre-Covid: nel confronto tra il primo semestre del 2022 e il primo semestre del 2019 dobbiamo evidenziare una differenza negativa di sole 184 imprese (-1% in valori percentuali). I dati dello stock aggiornati al 30 giugno 2022 mostrano, rispetto a fine 2021, un lieve incremento del numero delle imprese attive (+1,4%). Complessivamente sono 389.010 le imprese operanti nell’area, diminuite dello 0,16% se rapportate a giugno 2021, quando erano 389.651. A pesare su questo risultato gli andamenti negativi di Monza Brianza (-1,1%) e di Lodi (-3%), mentre si mantiene in terreno positivo Milano (+0,2%). Questo il dettaglio delle imprese attive nelle tre province: Milano 310.800; Monza Brianza 64.172; Lodi 14.038.

Tendenza positiva per le start up innovative

Uno dei cluster più interessanti nello scenario locale è quello delle start up innovative: sebbene, in numeri assoluti si tratti di poche migliaia di imprese, hanno sempre registrato performance interessanti, con incrementi superiori alla media del sistema. Nell’area di Milano Monza Brianza Lodi, a fine giugno 2022, se ne contano 2.912, il 74,6% del totale regionale e un quinto del nazionale. Inoltre, rispetto a luglio del 2021, il loro numero è cresciuto del 5,7% (rispetto a giugno 2019 sono cresciute del 48,6%). La gran parte è localizzata nella provincia di Milano (2.737), che è prima nella classifica nazionale, seguita da Roma (1.599), Napoli (675) e Torino (532). Si tratta di imprese che operano soprattutto nei servizi avanzati – produzione di software e consulenza informatica; attività dei servizi d’informazione; ricerca scientifica e sviluppo; inoltre, sono di piccola dimensione (anche per limiti al fatturato imposti dalla legge per rimanere nel Registro) e sono solo società di capitali, principalmente Srl e Srl semplificate. 

 I dipendenti vogliono cambiare lavoro: come trattenerli?

Secondo l’indagine “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, condotta dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, in collaborazione con SWG, il 55% dei dipendenti è insoddisfatto della propria occupazione, e il 15% è già passato ai fatti, avviando la ricerca di un nuovo lavoro. L’esperienza del Covid e l’introduzione del lavoro agile hanno portato a una diffusa insoddisfazione per la propria occupazione.  Come è noto, non si tratta di un fenomeno puramente italiano. Negli USA di Great Resignation si parla già dalla primavera 2021, ma non tutti gli aspetti dell’ondata di dimissioni sono comuni a livello internazionale.

Insoddisfazione e voglia di novità

Nel 38,7% dei casi a spingere verso una nuova occupazione è l’insoddisfazione, nel 35,4% la voglia di novità, poi la paura di perdere il lavoro (11,8%) e la scadenza del contratto (9,8%). Ma quali sono i fattori che generano insoddisfazione nei lavoratori? Nella maggior parte dei casi si tratta delle scarse opportunità di carriera (40,9%) e dei salari bassi (31,9%), ma per il 49% è necessario che il nuovo lavoro permetta un maggior equilibrio personale, maggior tempo da dedicare a sé stessi e minor carico di stress.
“Lo smart working è una modalità che ben concilia il lavoro con la vita privata, ma va ben strutturato perché diventi un’opportunità per il futuro”, commenta Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro.

Come ridurre il tasso di turn over?

Nel 2022 l’84,2% di chi lavora in agilità promuove a pieni voti questo modello, in virtù della conciliazione tra lavoro e vita privata. L’introduzione del lavoro agile potrebbe quindi essere un fattore importante per trattenere i talenti. Ma come sottolinea Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, un’azienda deve muoversi su più fronti per ridurre il tasso di turn over: “il datore di lavoro che mira a ridurre le dimissioni volontarie in azienda deve prima di tutto rendere più efficace il processo di selezione del personale, sapendo peraltro che spesso le dimissioni arrivano a pochi mesi dall’assunzione”. Spesso si è poi convinti che per trattenere i talenti l’unica arma efficace sia quella dell’aumento dello stipendio. Un modo di pensare in buona parte superato, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori più giovani.

Benefit vs aumento di stipendio

“Una larga fetta di giovani lavoratori mette davanti agli stipendi le possibilità di sviluppo di carriera e formazione: ecco quindi che l’azienda che desidera trattenere i propri dipendenti dovrebbe investire soprattutto in tal senso”, conferma Adami.
In molti casi, ancor più dell’aumento di stipendio, l’introduzione di benefit personalizzati rende più forte il legame tra dipendente e azienda. “Non va poi trascurato un aspetto più generale, relativo al modo in cui l’azienda decide di relazionarsi con i propri collaboratori – aggiunge l’head hunter -: un datore di lavoro che direttamente o attraverso i propri manager mostri di ascoltare i propri dipendenti e di avere fiducia nelle loro capacità e competenze, parte già avvantaggiato”.

Aziende italiane, ancora troppe PMI non utilizzano sistemi di backup

Sono ancora tantissime le imprese italiane che non si sono dotate di sistemi di backup per tenere al sicuro i propri dati, proteggendoli anche dai rischi del cybercrime. Addirittura sarebbe un’azienda su quattro a non avere nessun sistema, sebbene 7 aziende su 10 siano siano vittime di una perdita di dati. Tra l’altro, quel 27% di piccole e medie imprese che non si è ancora dotato di sistemi per la conservazione e la salvaguardia dei dati sale al 43% tra le sole piccole imprese. Numeri importanti, contenuti nell’indagine BVA Doxa per Aruba S.p.A., il principale cloud provider italiano nei servizi di data center, web hosting, e-mail, PEC e registrazione domini, sul tema della conservazione e della sicurezza dei dati nelle PMI italiane, in occasione del World Backup Day. 

Solo il 73%ha una soluzione di backup

Solo il 73% delle aziende intervistate ha dichiarato di disporre di una soluzione di backup, dato che scende al 57% quando si parla di piccole imprese e che sale ad un più incoraggiante 87% quando ci si interfaccia con le medie imprese. Tra quanti utilizzano soluzioni di backup in azienda, il 62% dei rispondenti ne dispone da oltre 5 anni ma è solo il 3% ad essersene dotato nel corso del 2021, sintomo che l’accelerazione della digital transformation registrata nel corso degli ultimi due anni non ha determinato un aumento in parallelo della attenzione alla conservazione dei dati e alla propria sicurezza digitale.
In dettaglio, è il 57% delle aziende intervistate a disporre di un backup in cloud, ossia la soluzione grazie alla quale i file vengono criptati e sincronizzati in tempo reale sui server del data center che ospita il servizio, rendendo il backup pienamente sicuro. Riguardo al cloud backup, le piccole imprese risultano a sorpresa più virtuose: è il 60% ad esserne dotato a fronte del 54% delle medie imprese.

Una perdita che costa

L’assenza di sistemi di conservazione appare ancora più incomprensibile scoprendo che 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati e per il 34% di queste la causa scatenante è riconducibile proprio ad un sistema di backup inefficace o non adeguato. In media, le aziende coinvolte da una perdita di dati hanno subito un downtime di quasi 2 giorni ed il 43% di queste non saprebbe quantificare economicamente i danni causati dall’incidente. La metà degli intervistati, invece, dichiara in modo netto che la perdita di dati ha causato un rallentamento sul lavoro (52%) e delle conseguenze economiche seppur non facilmente quantificabili (43%).
Interessante, infine, notare come i manager intervistati non mostrino una ferma attitudine alla sicurezza digitale neanche nella propria sfera privata: solo il 58% di questi riferisce di disporre privatamente di una soluzione di backup e nel 27% dei casi si tratta di una soluzione di backup su supporto fisico come un hardware esterno o una chiavetta USB. La motivazione principale di chi non ne fa uso? Per 9 italiani su 10 non rappresenta una necessità.

Aumentano gli attacchi alle email aziendali. Più mirati e su larga scala

Nell’ultimo trimestre del 2021 Kaspersky ha sventato più di 8.000 attacchi alle email aziendali (Business E-mail Compromise, BEC), che hanno raggiunto il picco nel mese di ottobre con un totale di 5.037 attacchi. Secondo Verizon, questo tipo di frode è stato il secondo attacco di social engineering più comune del 2021. Gli attacchi BEC sono schemi di frode che consistono nell’impersonare il membro affidabile di un’azienda. Nel corso del 2021, i ricercatori di Kaspersky hanno inoltre analizzato il modo in cui i truffatori creano e diffondono le email false, scoprendo che gli attacchi tendono a rientrare in due categorie: quelli su larga scala (BEC-as-a-Service) e quelli estremamente mirati (BEC mirati).

Due categorie di email falsse: BEC-as-a-Service e BEC mirati

Gli attacchi BEC-as-a-Service si basano su un meccanismo molto semplice, in modo da poter raggiungere un numero più alto di vittime. Per riuscirci, gli attaccanti inviano in massa messaggi non particolarmente sofisticati da account di posta elettronica gratuiti. Altri criminali propendono per strategie più avanzate, gli attacchi BEC mirati, che colpiscono una casella di posta intermedia ottenendo l’accesso alla mail di quel dato account. Successivamente, una volta trovata una corrispondenza adatta nella casella di posta elettronica compromessa della società intermediaria (questioni finanziarie o problematiche tecniche relative al lavoro), continuano la corrispondenza con la società presa di mira impersonando l’azienda intermediaria. Spesso l’obiettivo è quello di persuadere la vittima affinché invii denaro o installi un malware.

Una delle tecniche di ingegneria social più diffusa

Questa tipologia di attacco si è rivelata particolarmente efficace, ragion per cui non è una tecnica sfruttata solamente da ‘piccoli’ criminali alla ricerca di facili guadagni.
“Al momento gli attacchi BEC sono tra le tecniche di ingegneria social più diffuse – spiega Roman Dedenok, security expert di Kaspersky -. La ragione è semplice: i truffatori usano questi schemi perché funzionano. Dal momento che sempre meno persone cascano nella trappola delle finte email di massa, i truffatori hanno incominciato a raccogliere attentamente i dati sulle loro vittime per poi servirsene per guadagnarsi la loro fiducia. Alcuni di questi attacchi vanno in porto proprio perché i cybercriminali riescono a trovare con facilità i nomi e i ruoli lavorativi dei dipendenti, così come le liste dei contatti in open access”.

Si prevede l’emergere di nuovi metodi di truffa

“Le email restano il principale canale di comunicazione usato dalla maggior parte delle aziende – aggiunge Oleg Gorobets, Senior Product Marketing Manager di Kaspersky -. Tuttavia, man mano che lo smart working e l’archiviazione nel cloud diventano la nuova quotidianità, insieme all’aumento di una scarsa ‘igiene digitale’ prevediamo l’emergere di nuovi metodi di truffa, che sfrutteranno queste lacune nella sicurezza aziendale – puntualizza Gorobets -. Servirsi di una soluzione di sicurezza specifica e di una tecnologia ben collaudata e supportata da dati efficaci sulle minacce e algoritmi di machine learning può aiutare a fare la differenza”.

Le imprese lombarde attive superano i valori pre-crisi Covid

Il numero di imprese registrate all’anagrafe delle Camere di Commercio lombarde in un anno sale a 959.861, l’1,2% in più, mentre le posizioni attive arrivano a 823.609 (+1,5%). I valori hanno quindi recuperato i livelli pre-crisi, superando anche le percentuali che avevano caratterizzato l’ultimo decennio per le imprese attive. Si tratta dei numeri emersi dal report sulla demografia di impresa in Lombardia nel terzo trimestre 2021 di Unioncamere Lombardia. L’espansione del tessuto imprenditoriale lombardo prosegue infatti anche nel terzo trimestre dell’anno in corso. Secondo il report di Unioncamere l’andamento positivo è legato a vari fattori, e al loro impatto nel periodo di emergenza sanitaria sulle dinamiche della natimortalità.

Una tendenza confermata nel terzo trimestre 2021

Di fatto nel 2021 le iscrizioni si sono rapidamente riportate sui livelli pre-Covid, mentre le cessazioni sono rimaste su valori inferiori, anche per il protrarsi delle misure di sostegno da parte delle istituzioni che hanno di fatto disincentivato le chiusure. Questa tendenza è confermata nel terzo trimestre 2021, che registra un numero di iscrizioni (10.632) in linea rispetto allo stesso periodo del 2019, e un numero di cancellazioni (7.193) che risulta invece ancora inferiore di circa 2 mila movimenti. Al contrario, durante il 2020 le misure di contenimento della pandemia avevano comportato un forte calo, sia delle iscrizioni sia delle cessazioni, con una diminuzione più marcata sugli ingressi che aveva determinato un abbassamento dello stock.

Variazioni positive anche nelle attività di alloggio e ristorazione

I principali contributi alla crescita del numero di imprese attive provengono dai servizi (+3,1% su base annua) e dalle costruzioni (+2,3%), ma variazioni positive si riscontrano anche nelle attività di alloggio e ristorazione (+0,8%) e nel commercio (+0,5%). Per quanto riguarda i servizi, si tratta della conferma della progressiva terziarizzazione dell’economia, fenomeno in corso da molti anni, mentre per l’edilizia l’incremento è frutto del periodo favorevole che il settore sta attraversando dopo una lunga crisi. La ripresa delle costruzioni è correlata all’inversione di tendenza registrata nel 2021 dalle imprese artigiane (+0,5%; terzo segno positivo consecutivo), dove il comparto edile rappresenta il 40%.

La tenuta del tessuto imprenditoriale lombardo

“La ripresa in corso ha riacceso la voglia di fare impresa in Lombardia, anche in settori, come l’edilizia e l’artigianato, reduci da lunghi anni di crisi, e questi dati sono indubbiamente positivi – dichiara il presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio -. Non è per ora possibile misurare il pieno impatto dell’emergenza sanitaria sul tessuto imprenditoriale lombardo, che grazie alle misure di sostegno non ha ancora avuto l’emorragia di imprese che si è temuta da più parti”.

Industria 4.0, nel 2020 raggiunge il valore di 4,1 miliardi di euro

Nel 2020 il mercato italiano dell’Industria 4.0 ha raggiunto un valore di 4,1 miliardi di euro ed è cresciuto dell’8%. Una crescita trainata soprattutto dalle tecnologie IT, che rappresentano l’85% della spesa contro il 15% della spesa in tecnologie OT (Operational Technologies). Anche se la crescita del mercato è stata inferiore alle previsioni formulate nel 2019 (+20%), è stata ugualmente molto positiva, se si considera che le stime effettuate durante il primo lockdown delineavano un calo del 5%. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Transizione Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno online ‘L’Industria 4.0 in un mondo che cambia’.

Gli investimenti si concentrano in progetti di Internet of Things

Gli investimenti delle imprese manifatturiere si concentrano prevalentemente in progetti di connettività e acquisizione di dati (IoT), che valgono 2,4 miliardi di euro e il 60% della spesa, e negli Industrial Analytics, con 685 milioni e il 17% del mercato. Il resto della spesa in soluzioni 4.0 si suddivide fra Cloud Manufacturing (390 milioni, 8%), servizi di consulenza e formazione (275 milioni, 7%), Advanced Automation (215 milioni, 5%), Additive Manufacturing (92 milioni, 2%) e Advanced Human Machine Interface (57 milioni, 1%)

Nel 2021 ulteriore accelerazione della spesa fra +12% e +15%

Le previsioni per il 2021 indicano un’ulteriore accelerazione della spesa, a un tasso compreso fra +12% e +15%, superando i 4,5 miliardi di euro, spinta in particolare da Cloud Manufacturing (+25-30%), Advanced Automation (+15-20%) e Advanced HMI (+12-18%), mentre si stimano incrementi meno sostenuti per Industrial IoT (+9-14%), Advanced Analytics (+12-16%) e Additive Manufacturing (+6-12%). Continua poi la crescita dei servizi, per i quali si prevede un aumento del 10-15%.

Sono circa 1.400 le applicazioni utilizzate dalle imprese manifatturiere

Quanto alle applicazioni, sono circa 1.400 le applicazioni di Industria 4.0 utilizzate dalle imprese manifatturiere, il 28% in più rispetto al 2019. Le più diffuse sono le soluzioni di Industrial IoT, pari a un quarto del totale (380, +31%), spesso combinate con algoritmi di Analytics e AI. Seguono le tecnologie Advanced HMI, come i wearable e le interfacce uomo-macchina per acquisire e veicolare dati in formato visuale, vocale e tattile (286, +15%), Advanced Automation (241, +5%), cioè i sistemi di produzione automatizzati come i robot collaborativi, Industrial Analytics, le applicazioni più in crescita (200, +39%), focalizzate sulla previsione delle prestazioni degli assetti industriali e dei processi produttivi, Cloud Manufacturing (140, +33%), utilizzate soprattutto per il monitoraggio e la diagnostica degli impianti industriali da remoto, e Additive Manufacturing (125, +30%), nota anche come Stampa 3D e diffusa principalmente nei settori automotive e aerospaziale.

La casa Smart? Con Apple lo è sempre di più

Rendere la casa sempre più intelligente, integrando diverse tecnologie, è uno dei principali obiettivi di Apple. Il colosso americano ha infatti presentato nel corso della sua conferenza annuale Worldwide Developers Conference (WWDC) una serie di nuove funzionalità che hanno lo scopo di rendere le case sempre più evolute e “controllabili”. Dall’apertura della porta di ingresso o del garage al controllo delle luci e delle videocamere direttamente dal proprio iPhone, sono diverse le novità presentate da Apple. Ad esempio, sarà possibile sbloccare la porta di casa con un iPhone tramite una chiave digitale presente nell’app Wallet, a condizione che sia stata installata una serratura intelligente. Proprio per questa ragione il gruppo della Mela ha deciso, per lo sviluppo delle tecnologie di Smart Home, di “allearsi” con diversi fornitori, in questo caso i  principali produttori di serrature, che saranno coinvolti nello sviluppo e nel supporto di questa funzione.

Integrazione sempre più allargata

Questa direzione prevede quindi che i produttori di hardware di terze parti siano incoraggiati ad adottare la piattaforma di Apple (HomeKit) per sviluppare i loro progetti senza problemi. Si inseriscono perciò in questo filone anche altre opzioni integrate su HomeKit, come il controllo dei condizionatori d’aria, delle videocamere, dei sensori di movimento, di campanelli e luci. “L’obiettivo è quello di posizionare iPhone e Apple Watch come controller per un’ampia varietà di funzioni domestiche, rendendoli centrali nella gestione della casa e fidelizzando così la clientela su tutta la gamma di dispositivi Apple, compresi Apple TV e HomePod” riporta una nota di Developer.apple.com. 

Lo standard Matter

Per far sì che questo processo diventi sempre più la prassi, Apple ha annunciato il proprio sostegno a Matter, uno standard progettato per consentire ai gadget domestici intelligenti di lavorare insieme, confermando di avere contribuito al progetto, a cui partecipano anche Amazon, Google e Samsung, con un codice HomeKit open source. L’obiettivo di Matter è quello di garantire che i dispositivi domestici intelligenti rimangano compatibili per gli anni a venire e rendere più facile lo sviluppo di nuove app. Per gli sviluppatori, il codice HomeKit funzionerà con Matter senza alcuna modifica. Tra le altre novità riferite alla casa, c’è anche la possibilità per Home Kit di utilizzare Siri per programmare l’accensione di luci intelligenti, mentre attraverso le videocamere si potrà verificare quando un pacco è stato consegnato. Le videocamere per la casa intelligente potranno archiviare i filmati in modo crittografato e privato su iCloud attraverso una funzionalità chiamata HomeKit Secure Video.