Investire nell’arte conviene? Il Luxury Investment Index dice sì

Secondo il rapporto All-Art Index di AMR nel 2023l’arte è stata l’unica componente del Luxury Investment Index di Knight Frank (KFLII) a segnare una crescita a due cifre. Soprattutto nella prima metà dell’anno. Ed è rimasta in cima alla classifica dei beni più performanti, con un aumento dei prezzi dell’11%.

“Il 2023 ha registrato un record di vendite per le bottiglie di whisky scozzese premium, per le auto di lusso, i diamanti blu e persino per le spade più preziose – spiega Andrew Shirley, autore dell’Index -. All’apparenza un anno d’oro per gli investimenti di lusso, ma il KFLII svela un quadro meno ottimistico, con una flessione oppure un mancato guadagno per alcuni asset”.

Sul podio anche gioielli e orologi

All’arte seguono gioielli (8%), orologi (5%), monete (4%) e diamanti colorati (2%), che rappresentano le cinque categorie con i risultati migliori. Al contrario, le bottiglie di whisky rare (-9%) segnano le peggiori prestazioni all’interno dell’indice.

“Nonostante il 2023 sia stato un anno di sfide, il Knight Frank Luxury Whisky Index ha subito un calo di quasi il 9% – afferma Andy Simpson di Simpson Reserved -. Tuttavia, mentre le 50 bottiglie meno performanti hanno registrato una perdita complessiva del 26%, le restanti 50 hanno guadagnato il 5%, con le prime 20 bottiglie addirittura in aumento, con un rispettabile +20%. Prevedo un ritorno di alcuni prodotti che hanno subito significative perdite nel 2023, poiché rari, e almeno per ora, sottovalutati”.

Auto d’epoca e borse di lusso in calo 

Le auto d’epoca si posizionano subito sopra il whisky come seconda categoria peggiore della classifica (-6%).
“Gli investitori sono stati probabilmente attratti da altri asset e questo mercato, estremamente limitato, sarà stato influenzato da piccole variazioni nelle allocazioni di portafoglio – commenta Dietrich Hatlapa, esperto del settore -. Tuttavia, alcuni marchi come BMW (+9%) e Lamborghini (+18%) hanno sfidato la tendenza nel 2023, rivolgendosi a un pubblico di collezionisti più giovane”.

Anche le borse di lusso (-4%), che in passato avevano dominato il KFLII, hanno subito un notevole calo.
Secondo Sebastian Duthy di AMR, contributor del KFLII, le bag sono tra gli investimenti maggiormente dettati dalla passione dell’acquirente e tra le influenzabili nelle vendite al dettaglio.

Giù vini pregiati, sì ai diamanti colorati

Non vi sono invece grandi prestazioni per il Knight Frank Fine Wine Icons Index (KFFWII), secondo il quale il segmento dei vini pregiati ha registrato un incremento di appena l’1%.

“Alcuni vini di piccoli produttori, che avevano sperimentato una crescita elevata, hanno registrato il maggior calo dei prezzi, che in passato erano arrivati alle stelle, con bottiglie da 50 sterline che venivano a costarne 200 o 300”, sottolinea Nick Martin di Wine Owners.
Quanto ai diamanti colorati, risultano in costante crescita.
“Siamo contenti che questo segmento rimanga stabile rispetto ai diamanti trasparenti”, commenta Miri Chen, Fancy Color Research Foundation.

Clima: una Pmi su 4 a rischio fallimento se in zone vulnerabili

È l’agricoltura il settore più colpito dagli eventi metereologici estremi avvenuti in questi ultimi anni. Nel 2022, ad esempio, i disastri hanno bruciano 210 miliardi di euro. Ed è all’Italia che spetta il conto più salato in tutta la UE.

E una Pmi italiana su quattro è a rischio fallimento, perché localizzata in comuni minacciati da frane e alluvioni. Queste Pmi presentano infatti una probabilità di fallire del 4,8% più alta di quella delle altre imprese. Allo stesso tempo, rischiano di realizzare un risultato economico inferiore del 4,2% rispetto alle altre imprese, e sono soggette a una dimensione aziendale, in termini di addetti, anch’essa inferiore alle imprese localizzate in territori non esposti a rischi di frane e alluvioni.
Sono alcuni dati del Focus di Censis e Confcooperative dal titolo ‘Disastri e climate change conto salato per l’Italia’. 

Economia agricola: nel 2022 produzione in calo dell’1,5%

“L’agricoltura è il settore economico che risente di più le conseguenze dei cambiamenti climatici – afferma Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, commentando i dati del Focus -. L’andamento dell’economia agricola nel 2022 ha registrato un calo della produzione dell’1,5%, poco meno di 900 milioni di euro”.

Buona parte del risultato negativo è da imputare alla diffusa siccità e alla carenza di precipitazioni, tanto che il 2022 è considerato l’anno più caldo di sempre. Quasi tutte le tipologie di coltivazioni hanno subito un duro contraccolpo. La produzione di legumi è calata del -17,5%, l’olio di oliva del -14,6%, i cereali del -13,2%.
In flessione anche ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%).

Disastri naturali: un conto da 210 miliardi di euro

Sempre nel 2022, aggiunge il presidente di Confcooperative, “Il comparto zootecnico ha subito una riduzione della produzione pari allo 0,6%. Dal punto di vista territoriale, la flessione del volume di produzione ha avuto una maggiore incidenza nel Nord Ovest (-3,5%) e nel Sud (-3,0%), mentre al Centro non si è registrata alcuna variazione. Se si guarda al valore aggiunto, la tendenza negativa appare particolarmente evidente nel nord Ovest, con un -7,6%. Al Sud il valore aggiunto si riduce del 2,9%”.

In totale, è di 210 miliardi di euro il conto che disastri naturali e cambiamenti climatici hanno presentato al nostro paese.

“Un costo pari all’intero PNRR più 10 manovre finanziarie”

“Si tratta di un costo pesantissimo pari all’intero importo del PNRR e a 10 manovre finanziarie. Di questi 210 miliardi ben 111 sono determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Ecco perché la cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema paese”.

Il Focus, riferisce Adnkronos,  mostra poi come negli ultimi 40 anni, dal 1980 al 2022, un terzo del valore dei danni provocati da eventi estremi nella UE sia stato ‘pagato’ dall’Italia. “In merito agli ultimi anni – spiega Gardini – parliamo di 42,8 miliardi solo dal 2017 al 2022. Nel 2022 è costato quasi 1% di Pil, lo 0,9% per l’esattezza, pari a 17 miliardi circa: un importo poco inferiore a una manovra finanziaria”.

Felici anche senza soldi? La scienza dice che è possibile

Nonostante la convinzione diffusa che la prosperità economica sia direttamente proporzionale alla felicità individuale, un recente studio potrebbe mettere in discussione – se non ribaltare –  questa correlazione. La ricerca, condotta da scienziati dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Universitat Auto’noma de Barcelona e della McGill University in Canada, ha analizzato i livelli di soddisfazione della vita in 19 comunità indigene sparse in tutto il mondo. E ciò che è emerso è davvero sorprendente.

Reddito e benessere non vanno di pari passo

I risultati hanno rivelato che le popolazioni indigene, nonostante vivano in condizioni economiche meno floride rispetto a quelle dei paesi ad alto reddito, manifestano livelli di soddisfazione del tutto simili. Questa scoperta ha ribaltato i clichè, indicando che l’incremento del reddito non è strettamente correlato al benessere individuale.

Lo studio, riferisce Agi, ha suggerito che la relazione tra denaro e felicità potrebbe non essere diretta come spesso si presume. Questo nuovo approccio un po’ rivoluzionario sfida la concezione diffusa che la ricchezza materiale sia essenziale per condurre una vita appagante. In altre parole, il cammino verso la felicità potrebbe non essere pavimentato da monete d’oro.

Contenti di vivere secondo natura

Ciò che emerge è che in molte società “marginali”, dove lo scambio e il possesso di denaro hanno un ruolo minuscolo nella vita quotidiana e le risorse necessarie per la sussistenza dipendono principalmente dalla natura, i livelli di soddisfazione della vita non sono influenzati in modo significativo dalla disponibilità economica. Questo concetto sfida le generalizzazioni spesso basate su sondaggi globali che tendono a ignorare le realtà di queste società, concentrandosi principalmente sulle risposte dei cittadini dei paesi o delle aree del mondo più industrializzate.

Nel campione esaminato, infatti, solo il 64% delle famiglie intervistate aveva qualche disponibilità economica; eppure i livelli di soddisfazione della vita erano sorprendentemente simili a quelli riscontrati nei paesi ad alto reddito, come la Svezia. Questo dimostra che la connessione tra reddito e benessere individuale non è un parametro universalmente valido.

Conclusioni

La conclusione dello studio suggerisce che, nonostante le differenze economiche, l’uomo può condurre una vita appagante anche senza una grande ricchezza materiale. I punteggi medi di soddisfazione nella ricerca erano di 6,8 su 10, con picchi superiori a 8 punti, simili a quelli riscontrati nei paesi scandinavi noti per i loro alti standard di vita. In definitiva, sembra che i soldi, da soli, non siano la chiave per la felicità.

Stress e rischio burnout? Ora c’è il manager della felicità

In un momento in cui trecento milioni di persone al mondo soffrono di disturbi mentali derivanti dal lavoro, lavorare per favorire il benessere organizzativo all’interno di un contesto ispirato al modello di organizzazione positiva è importante.

È proprio questo il ruolo del manager della felicità. Perché prestare molta attenzione al benessere di dipendenti e collaboratori porta felicità in azienda, e ciò favorisce e stimola la produttività.
A oggi sono solo 300 i manager della felicità ufficiali, riconosciuti dall’Italian Institute of Positive Organization, tra i quali Francesca Cafiero, certificata Cho (chief happiness officier), e presidente di Nieco, realtà impegnata da oltre 40 anni nello smaltimento rifiuti del centro Italia.

Felicità uguale competenza 

Preso atto di uno scenario preoccupante, Francesca Cafiero ha stilato una lista di consigli che si rifanno proprio ai pilastri della ‘scienza della felicità’, utili a manager e lavoratori.
Spesso si sa, in ogni contesto lavorativo si tende a primeggiare. Mettere al centro ‘l’io’ è l’errore più grande che si possa fare. Alimenta l’invidia, le gelosie, i rancori.

Ragionare in termini di gruppo è, al contrario, la chiave vincente per raggiungere grandi traguardi, perché quando i risultati sono buoni si gioisce insieme, quando lo sono meno si condivide un insuccesso e ci si rialza più facilmente e velocemente.

Favorire una chimica positiva

Abbattere le barriere culturali e di ruolo e favorire una chimica positiva è poi un approccio utile sia ai manager sia ai dipendenti, perché alimenta l’amalgamarsi di un gruppo di lavoro e promuove relazioni interpersonali sane. Di conseguenza, ne beneficiano anche le scelte aziendali.

Non chiedere di eseguire, e non limitarsi a eseguire: i lavoratori non sono automi, hanno sentimenti, ed è importante mettere in mostra le proprie qualità umane. Il compito di un buon manager è proprio quello di valorizzarle al meglio. Solo così è possibile svolgere al meglio i propri compiti e contribuire al raggiungimento dei risultati aziendali.

Riconoscere i meriti e dialogare

Lavorare fuori orario, chiedere ripetutamente straordinari non pagati, non rispettare i ruoli, lasciare spazio a simpatie e antipatie, non riconoscere i meriti alimenta il caos all’interno di un contesto aziendale.
La disciplina è importante, riferisce Adnkronos, e devono essere garantiti i diritti di ogni singolo lavoratore. Spesso in molte aziende non vengono fatti notare errori, o non si riconoscono i meriti di un dipendente, oppure non interessa che un collega sta attraversando un periodo difficile.

Il dialogo, al contrario, è fondamentale, sia dal punto di vista umano sia professionale.
E interessarsi della salute di un dipendente o un collega è una buona pratica che rafforza il rapporto tra persone e tra professionisti.

Deinfluencing: cos’è la controtendenza agli acquisti compulsivi?

Il deinfluencing si sta affermando come il fenomeno contrario a quello degli influencer, il cui fine non è tanto far acquistare agli utenti i beni di cui hanno bisogno, quanto far nascere il desiderio di comprarne altri. Gli influencer consigliano gli utenti dei social media determinati acquisti perché guadagnano promuovendo i brand: più utenti acquistano dal link associato all’influencer (link referral), più aumenta il loro guadagno. Questo link consente un tracciamento preciso del numero di acquisti promossi e portati a termine da ciascun profilo. Le ragioni che animano il deinfluencing, al contrario, sono di tipo etico e puntano a ottenere risultati anche nel campo ambientale. Di fatto gli obiettivi del deinfluencing sono ridurre la sovraesposizione ai social media e contrastare l’iperconsumismo.

Dal desiderio di sentirsi parte di un gruppo all’effetto dopamina

I social media sono pieni di contenuti pensati per spingere all’acquisto di beni di consumo, nel campo della cosmesi o dell’abbigliamento, ma non solo. Sono diverse le dinamiche utilizzate sui social per spingere ad acquistare beni superflui. L’utente che guarda il contenuto può avvertire il desiderio di sentirsi parte di un gruppo identificato dallo stile utilizzato e da determinate scelte di consumo.
Poi, c’è ‘l’effetto dopamina’: quel senso di appagamento che prova il consumatore quando compra qualcosa di nuovo. La dopamina è un neurotrasmettitore, ed entra in gioco in ogni acquisto, anche in quelli offline. Sui social questo è effetto è amplificato dal contesto in cui viene fruito il contenuto: all’appagamento dell’acquisto si aggiunge la bravura dell’influencer nell’orientare all’acquisto e il desiderio dell’utente/acquirente di ostentare i propri beni a una platea molto più ampia di quella offline.

Ridurre lo shopping smodato e il carbon footprint 

Lo stesso effetto viene generato dall’arrivo di nuove notifiche. Spesso gli utenti social si augurano di trovare nuovi ‘mi piace’ ai propri post per provare quel senso di soddisfazione.
Si tratta, tuttavia, di un appagamento effimero. Proprio questa caratteristica fa entrare l’utente in un circolo vizioso, che rischia di tenerlo con gli occhi sullo smartphone per ore alla ricerca di ripetute, ma brevi soddisfazioni.
In definitiva, i social rappresentano l’ambiente ideale per stimolare l’acquisto di nuovi beni, non sempre realizzati da brand attenti al rispetto dell’ambiente. Lo scopo del deinfluencing è spegnere l’istinto di shopping compulsivo, riducendo quindi i ritmi frenetici della produzione che provocano un carbon footprint elevatissimo, come spiega nonsoloambiente.it.

L’anti challenge #NoNewClothes 

Il fenomeno del deinfluencing ha dato forma all’iniziativa #NoNewClothes che ha l’obiettivo di incentivare il riutilizzo dei capi d’abbigliamento.
Nel tempo l’hashtag è diventato una challenge atipica, riporta Adnkronos: gli utenti mostrano sé stessi mentre acquistano prodotti di seconda mano o prodotti da aziende virtuoso che producono i propri capi in maniera sostenibile. A questa iniziativa partecipano anche alcuni piccoli produttori e associazioni attive nel campo ESG.
Il fenomeno del deinfluencing non è ancora decollato, perché contrastato dall’attività dell’influencing, di gran lunga dominante sui social, ma potrebbe diventare un punto di riferimento in un mondo sempre più attento alla sostenibilità.

Italiani alla guida: chi sono i più multati?

Chi sono i cittadini alla guida più multati d’Italia? Milanesi, fiorentini e bolognesi. Emerge dall’analisi congiunta Facile.it-Assicurazione.it, realizzata esaminando i rendiconti dei proventi delle violazioni del Codice della Strada pubblicati dalle città capoluogo di provincia italiane.
Nel 2022, considerando solo le 102 città capoluogo di provincia che hanno pubblicato i dati relativi ai proventi legati alle contravvenzioni stradali, l’importo complessivo supera 793 milioni di euro. E sono Milano (151 milioni di euro), Roma (133 milioni) e Firenze (46 milioni) i comuni che nel 2022, hanno incassato i maggiori proventi derivanti da sanzioni legate all’accertamento delle violazioni al Codice della Strada.

Più multe a milanesi, bolognesi e fiorentini

I guidatori più multati d’Italia sono i milanesi. Considerando che dai dati ufficiali Aci fanno capo a Milano oltre 870.000 veicoli tra auto e moto, nel 2022 la spesa pro capite per multe legate alle violazioni è stata di 174 euro. Seguono i conducenti fiorentini, che in media nel 2022 hanno pagato contravvenzioni di importo pari a 170 euro, i bolognesi (163 euro), i pavesi (129 euro), e gli abitanti di Siena (128 euro). Le città capoluogo di provincia che incassano meno proventi dalle multe stradali, sono Carbonia, che lo scorso anno ha incassato appena 120 mila euro, Enna (131 mila euro) e Agrigento (135 mila euro).

A Latina i conducenti sono virtuosi

Rapportando le somme incassate con il numero di autovetture e motocicli iscritti nei registri della motorizzazione, emerge che i conducenti meno multati nel 2022 sono stati quelli di Latina, che in media hanno speso a testa 2,2 euro. Seguono i guidatori di Agrigento, con una spesa pro capite pari a 2,5 euro, e quelli di Aosta, dove la ‘multa media’ è stata di 4,1 euro. Quanto ai proventi derivanti da violazioni dei limiti massimi di velocità, tra le città capoluogo di provincia quella con i maggiori incassi è Firenze (23 milioni di euro nel 2022). Milano slitta al secondo posto (13 milioni), mentre al terzo si classifica Genova (poco meno di 11 milioni), e Roma è quarta, con poco più di 6 milioni di euro.

Firenze supera i limiti di velocità

Complessivamente, le 102 città capoluogo di provincia analizzate nel 2022 hanno incassato 117 milioni di euro provenienti da violazioni dei limiti massimi di velocità. Rapportando i proventi con il numero di automobili e motocicli iscritti nei registri della motorizzazione emerge che i guidatori più multati per eccesso di velocità in Italia sono i fiorentini, che nel 2022 hanno speso, in media, quasi 85 euro per questo tipo di sanzione. Al secondo posto si posizionano i conducenti grossetani, con una spesa pro capite di 78 euro, mentre in terza posizione si classificano i guidatori di Rieti (54 euro).

Mai caricare il proprio smartphone in stazione o aeroporto. L’alert dell’FBI

In viaggio, in situazioni di emergenza o semplicemente di attesa, sarà capitato a tutti di caricare il proprio device a un caricatore pubblico. Ormai sono numerose e diffuse ovunque le colonnine dove è possibile, quasi sempre gratuitamente, fare il pieno di corrente. Eppure questa banale pratica può avere delle controindicazioni anche serie. A lanciare l’allarme è nientedimeno che l’FBI statunitense.

L’allarme lanciato con un tweet

L’FBI mette in guardia contro l’uso di stazioni di ricarica per telefoni pubblici. “Evita di utilizzare stazioni di ricarica gratuite negli aeroporti, negli hotel o nei centri commerciali”, ha affermato un recente messaggio twittato dall’ufficio sul campo dell’FBI di Denver. “I malintenzionati hanno escogitato modi per utilizzare le porte USB pubbliche per introdurre malware e software di monitoraggio sui dispositivi. Porta il tuo caricabatterie e il cavo USB e usa invece una presa elettrica”. Con questo messaggio, assolutamente lapidario, l’FBI ha messo in guardia i consumatori dall’utilizzo di stazioni di ricarica pubbliche gratuite, affermando che i truffatori sono riusciti a dirottare caricabatterie pubblici che possono infettare i dispositivi con malware o software che possono consentire agli hacker di accedere al tuo telefono, tablet o computer.

Rischi più seri per i sistemi Android

Il rischio è più alto per gli utenti Android, ma anche iPhone e iPad non sono invincibili a questo tipo di attacchi. L’FBI consiglia quindi di utilizzare il proprio caricatore e attaccarlo alle prese a muro dei luoghi pubblici, o meglio ancora di portarsi dietro un power bank. Su iOS, è sempre fondamentale rispondere no alla domanda “autorizza questo computer o accessorio” quando si collega un iPhone o un iPad.

La guida per i comportamenti più “furbi” da seguire

Il Federal Bureau of Investigation (FBI), in concomitanza con l’alert, ha anche diffuso una guida analoga sul suo sito web. Questo fenomeno – quello di sottrarre dati attraverso le stazioni di ricarica – viene definito juice jacking”. Negli Usa, anche la Federal Communications Commission ha messo in guardia gli utenti da questo rischio, evidentemente sempre più diffuso, con una serie di consigli. I dispositivi di consumo con cavi USB compromessi possono essere dirottati tramite software che può quindi sottrarre nomi utente e password, ha avvertito la FCC già dal 2021. La commissione ha consigliato ai consumatori di evitare le ricariche nei luoghi pubblici.

Italiani e sonno, come sono le notti dei nostri connazionali?

Dormire bene è necessario per per vivere bene. Il sonno è infatti una componente essenziale di un corretto stile di vita, alla pari dell’alimentazione e dell’attività fisica. Ma come dormono gli italiani? Per scoprirlo è stata condotta un’indagine ad hoc in occasione del World Sleep Day 202. L’obiettivo del World Sleep Day è proprio quello di sensibilizzare sul ruolo che la cattiva qualità e quantità del sonno ha sul benessere mentale, fisico e sociale di una persona. Proprio per questo, Ipsos ha chiesto a un campione rappresentativo di italiani se soffrissero, o avessero sofferto in passato, di uno o più disturbi del sonno – tra cui insonnia, sonnambulismo, paralisi del sonno, apnee notturne. 

Circa la metà degli intervistati ha sofferto di disturbi del sonno

Dai risultati del sondaggio risulta che quasi la metà dell’opinione pubblica, di cui 49% donne e 38% uomini, soffra o abbia sofferto di disturbi del sonno. La metà di coloro che soffrono/hanno sofferto di disturbi del sonno ha citato l’insonnia, in particolare sembra essere più comune tra studenti, pensionati e autonomi, seguita da tachicardia, attacchi di ansia e/o di panico notturni (19%), più frequente tra disoccupati e dipendenti. Tra quanti affermano di soffrire di disturbi del sonno, o di averne sofferto in passato, la maggioranza attribuisce la causa ad ansia, stress e preoccupazioni e tra i rimedi che usano o hanno usato per risolvere il problema, due persone su cinque hanno indicato le tisane rilassanti. Tra gli altri rimedi, si ritrova lo svolgere attività (es. leggere, camminare, cucinare) e la melatonina.

Cos’è il World Sleep Day

Il World Sleep Day è una ricorrenza annuale che si celebra il 17 marzo in tutto il mondo, promossa dalla World Sleep Society e dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS) in Italia, con l’obiettivo di sensibilizzare sul ruolo del sonno nella salute e nel benessere fisico, mentale e sociale di una persona. Dai dati scaturiti dal sondaggio condotto da Ipsos, si può notare che circa la metà delle persone dorme tra le 7 e le 8 ore a notte, ed un terzo del campione tra le 5 e le 6 ore, di cui quasi la metà sono appartenenti alla generazione dei Boomers.

No a device e TV prima di coricarsi 

Molti esperti sconsigliano l’uso di dispositivi elettronici come smartphone, tablet e computer poco prima di addormentarsi e di evitare di dormire con la televisione accesa, in quanto la luce emessa da questi schermi influisce sul ritmo circadiano, confondendo l’orologio biologico interno. Tuttavia, il sondaggio Ipsos rivela che quattro persone su dieci guardano la TV/Film/Serie TV prima di dormire e una su tre utilizza smartphone o tablet, soprattutto i membri della GenZ e i Millennials, entrambi quasi al 50%.

I media delle crisi: crescono Internet e la spesa per i dispositivi

Secondo i risultati del 18° Rapporto sulla comunicazione del Censis si continua a trovare piena espressione di sé attraverso i dispositivi personali digitali. Ma considerando l’affidabilità di cui godono i media e la fiducia da parte dell’opinione pubblica, nell’ultimo anno radio televisione e carta stampata staccano di gran lunga web e social network in termini di credibilità. Tuttavia, il 60,1% degli italiani ritiene legittimo il ricorso a qualche forma di censura: per il 29,4% non dovrebbero essere diffuse fake news accertate, per il 15,7% le opinioni intenzionalmente manipolatorie e propagandistiche, per il 15,0% i pareri espressi da persone che non hanno competenze. Al contrario, per il 39,9% la censura non è mai giustificata.

Radio sempre più ibrida, boom della mobile tv

Nel 2022 la televisione la guarda il 95,1% degli italiani, ma la percentuale dell’utenza è il saldo tra la contrazione del numero di telespettatori della tv tradizionale (digitale terrestre -3,9%), la lieve crescita della tv satellitare (+1,4%), il forte rialzo della tv via internet (web tv e smart tv +10,9%) e il boom della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 34,0% di oggi. La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media. I radioascoltatori sono il 79,9% degli italiani, ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale si attesta al 48,0% (-0,8%), l’autoradio sale al 69,0% (+4,6%), l’ascolto via internet col pc è stabile al 20,4%, e via smartphone lo fa il 29,2% (+5,4%).

Nuovi record per Internet, smartphone e social network

Nel 2022 si registra ancora un forte aumento dell’impiego di internet (88,0%, +4,5%, con una perfetta sovrapposizione con quanti utilizzano lo smartphone: 88,0%, +4,7%), e lievitano all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8%). Tra i giovani (14-29enni) si registra un ulteriore passo in avanti nell’impiego dei social (93,4% WhatsApp, 83,3% YouTube, 80,9% Instagram), con il forte incremento di TikTok (54,5%), Spotify (51,8%) e Telegram (37,2%), e la flessione di Facebook (51,4%) e Twitter (20,1%). Per i media a stampa, invece, si accentua ulteriormente la crisi, a cominciare dai quotidiani cartacei, letti ormai solo dal 25,4% (-41,6% in quindici anni). Gli italiani che leggono libri cartacei sono invece il 42,7% (-0,9%). Una flessione parzialmente compensata dai lettori di e-book (13,4%, +2,3%).

La spesa premia il digitale

Tra il 2007 e il 2021 la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico segna un vero e proprio boom, moltiplicando il valore per quasi sette volte, +572,0% (7,9 miliardi di euro nell’ultimo anno), mentre quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori poi è più che raddoppiata (+138,9%). Ma se i servizi di telefonia e di traffico dati si assestano verso il basso per effetto di un radicale riequilibrio tariffario (-20,7%, 14,7 miliardi di euro), la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo: -37,7% rispetto al 2007.

Il nomadismo digitale cresce e attrae talenti. Anche grazie alla tecnologia 

Il ‘nomadismo digitale’ è un fenomeno in crescita: offre tante opportunità, soprattutto per spalancare le porte a talenti e professionisti specializzati, ma comporta anche tante sfide per le aziende, soprattutto in termini logistici e normativi. Secondo l’ultima edizione dell’European Employer Survey, l’osservatorio di Littler sul nomadismo digitale, il 73% degli intervistati dichiara di avere dipendenti ‘nomadi digitali’. Nel 2021 erano il 61%. In generale, però, emerge un sentiment di preoccupazione tra le aziende (89%), soprattutto per i rischi legali, le implicazioni fiscali e altri problemi occupazionali.

Uno stile di vita più flessibile e autonomo

Tra gli stimoli che fanno crescere il nomadismo digitale, c’è sicuramente l’aspirazione dei lavoratori di abbracciare uno stile di vita più flessibile e autonomo, che possa migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Per le aziende è un’opportunità per attrarre e trattenere nuovi talenti.
“Spesso, quando si parla di nomadismo digitale, si pensa a una persona alla scrivania con vista su una spiaggia tropicale. Si tratta di stereotipi idealizzati e stili di vita irrealistici – spiega Edoardo Vitale, Content Manager di Mine Studio -. In Italia, ad esempio, il nomadismo digitale offre opportunità enormi per ripopolare le aree interne e i comuni abbandonati, rimettendo in circolo economie stagnanti e rispondendo alla sempre più crescente necessità di orari di lavoro flessibili e costi della vita inferiori”.

Opportunità e sfide per le aziende

In questo scenario, la tecnologia riveste un ruolo fondamentale nel rendere possibile una modalità di lavoro impensabile fino a pochi anni fa.
“Il fenomeno della remotizzazione dei dipendenti rende imprescindibile la digitalizzazione in tutte le sue sfaccettature: anche quella dei pagamenti delle spese aziendali”, sottolinea Davide Salmistraro, Country Manager in Italia di Soldo. Lavorare fuori dai confini aziendali richiede condizioni tali da soddisfare le esigenze di efficienza, portabilità e connettività necessarie per mantenere il livello di produttività e affidabilità richiesto. Se da un lato la tecnologia offre sempre maggiori opportunità per accedere e organizzare in maniera ottimale dati e file, dall’altro genera anche nuove sfide per le aziende in termini di archiviazione, backup e protezione dei dati sensibili.

Come ridurre i rischi informatici?

Secondo i risultati di una ricerca commissionata da Western Digital nel 2021, riporta Adnkronos, il 63% dei data-manager italiani ha visto aumentare incidenti e minacce alla sicurezza dei dati negli ultimi 12 mesi.
“Con l’evoluzione della tecnologia, dipendenti e datori di lavoro sono alla ricerca di nuove soluzioni per archiviare e condividere i dati sensibili in modo più sicuro – aggiunge Fabrizio Keller, Senior Product Marketing Manager Western Digital -. La combinazione tra un’infrastruttura adeguata, che integri piattaforme di crittografia per archiviare e condividere i dati sensibili, e una maggiore formazione dei dipendenti sulle minacce a cui possono esporre la propria organizzazione, contribuirà a migliorare il panorama delle minacce e a ridurre i rischi”-